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Da Quota 90 all'Euro, il filo nero della speculazione

Da Mussolini ad Andreotti, da Baffi a Ciampi: la libertà dei capitali è pagata da imprese e lavoratori


La libertà dei capitali è pagata da imprese e lavoratori.

La speculazione valutaria e finanziaria ha trovato un argine solo nel Secondo dopoguerra, dal '45 al '71, per tutto il periodo in cui fu vigente l'Accordo di Bretton Woods.

Al di là dei cambi fissi ancorati al dollaro ed aggiustabili solo in determinate condizioni, fu abolita la libertà di movimento internazionale dei capitali a lungo termine.

In quel periodo, gli Stati non avevano solo il potere di determinare il tasso di sconto, per regolare l'attività economica e mantenere fisso il cambio della moneta ai fini del commercio internazionale, ma erano veri "padroni" della propria moneta. I detentori di capitale ne potevano fare l'uso che credevano, all'interno del Paese, ma non potevano trasferirli liberamente all'estero, se non con autorizzazione del Governo.

Si superò così, con questo divieto, il paradosso che si verifica quando i capitali hanno il diritto di circolare liberamente da un Paese all'altro. Se l'economia di un certo Paese va male, i capitali cominciano a fuggire all'estero: lo fanno prima di subire le perdite derivanti dal fallimento delle imprese, che poi non rimborserebbero i debiti; prima che i valori di Borsa precipitino ulteriormente; prima di una probabile svalutazione della moneta. Espresso in altre monete, dopo una svalutazione, il loro investimento avrebbe perso valore. Per evitare questa fuga, le Autorità monetarie del Paese in difficoltà sono costrette ad aumentare i tassi di interesse, e quindi il rendimento dei capitali investiti. Attratti dalla prospettiva di guadagnare di più, i capitali rimangono. Ma, così facendo, il credito è più caro, e si strangola l'economia che avrebbe avuto bisogno di tassi di interesse inferiori e non superiori.

C'è dunque un conflitto intrinseco, ineliminabile, tra l'interesse di chi detiene capitali, e li vuole fare fruttare quanto più possibile riducendo al minimo i rischi di perdite, e l'interesse di chi prende a prestito i capitali e vorrebbe pagarli al più basso tasso possibile. Eliminando la libertà di circolazione internazionale dei capitali, li si vincola alla redditività intrinseca di quel Paese.

E' una questione di uguaglianza, non di libertà.

Se i capitali si possono spostare all'estero, non è così per le fabbriche: non si possono mettere dentro una valigia e portarle all'estero, dove magari il costo del lavoro è inferiore e si guadagnerebbe di più.

La decisione presa a Bretton Woods aveva una ragione specifica: si usciva fuori da una guerra mondiale disastrosa, e tutti, anche i capitali, dovevano contribuire alla ricostruzione. Se fosse stata mantenuta la libertà di circolazione internazionale, i costi per il loro impiego sarebbero lievitati in modo esponenziale.

La libertà di movimento dei capitali è un pilastro dell'Unione europea: gli aggiustamenti dopo le crisi sono pagate dagli imprenditori e dai lavoratori.

Da Mussolini ad Andreotti, da Baffi a Ciampi: la libertà dei capitali è pagata da imprese e lavoratori

Da Quota 90 all'Euro, il filo nero della speculazione

(Foto: © michelangeloop /123RF)
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