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Punire per Educare

Nella BCE è scontro aperto sul PEPP


Si dovette aspettare ancora un bel po' prima, fino al marzo 2015, per avere un Qe sull'euro come quelli decisi ripetutamente dalla Fed statunitense: da quella data fino al marzo 2016 gli acquisti di titoli di Stato dei Paesi dell'area euro sono proceduti a un ritmo di 60 miliardi di euro al mese; tra aprile 2016 e dicembre 2017 il volume è salito a 80 miliardi di dollari, per poi scendere a 30 a partire dal gennaio 2018. Complessivamente, la BCE ha investito 2.150 miliardi di euro, di cui 362 miliardi in titoli di Stato italiani. Il beneficio in termini di minori costi per gli interessi sul debito pubblico è sfumato a causa del carattere recessivo della politica di bilancio, orientata al contenimento progressivo del deficit.

Anche per questo motivo la politica monetaria non è riuscita nel suo intento di portare l'inflazione ad un tasso "vicino ma non superiore al 2%": mentre la BCE pompava liquidità per dare fiato all'economia, il Fiscal Compact imponeva aggiustamenti continui che andavano in senso esattamente opposto.

Per fortuna, vista la gravità della situazione economica, per il 2020 è stata applicata la clausola di sospensione generalizzata del Fiscal Compact. Questa sospensione varrà anche per il 2021.

Se l'Unione europea ha messo in campo misure straordinarie come il Recovery Fund, di cui però si attente la attuazione più avanti nel 2021, si è riaperta la bagarre in seno alla BCE: secondo i Falchi, i Paesi del Nord, i 1350 miliardi già preordinati sarebbero sufficienti ed anzi si dovrebbe capire quale è l'effetto concreto dell'abbandono del criterio del "Capital Key" nella effettuazione degli acquisti di titoli di Stato: anziché fare aste per importi proporzionali al capitale di ciascuna Banca centrale che partecipa alla BCE, che corrisponde al peso del PIL di ciascun Paese, gli acquisti sono stati proporzionalmente più consistenti per i titoli di Stato italiani, spagnoli e francesi e meno consistenti per quelli tedeschi.
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