Facebook Pixel
Milano 15-apr
33.954,28 0,00%
Nasdaq 15-apr
17.706,83 -1,65%
Dow Jones 15-apr
37.735,11 -0,65%
Londra 15-apr
7.965,53 0,00%
Francoforte 15-apr
18.026,58 0,00%

C'è Voglia di Nuove Bolle

Green, Smart & BioTech


E stavolta non può funzionare la ricetta della delocalizzazione produttiva, che sposta le produzioni mature nei Paesi con un basso costo del lavoro e losche regolamentazioni ambientali. Stavolta è stata la Cina, con il Piano al 2030 a sfidare l'Occidente sul piano delle nuove tecnologie ICT, dal 5G all'AI. L'America, già dai tempi di Obama, ha cercato di cambiare i paradigmi della produzione automobilistica, lanciando le auto a trazione elettrica ed a guida autonoma: lo scandalo del Dieselgate serviva solo a mettere in discussione la supremazia industriale tedesca nel settore.

Negli Anni Ottanta, l'Amministrazione Reagan stanziava miliardi su miliardi di dollari sui progetti di Guerre stellari, che mentre sfidavano l'Unione Sovietica sul piano militare erano pronti ad un Dual Use sul piano civile, con i sistemi di geolocalizzazione satellitare GPS che ora sono in dotazione di ogni smartphone e di ogni vettura. L'Europa finanziava, con molta minore larghezza di mezzi, il Programma Eureka che aveva le stesse finalità, proseguendo poi stancamente con il Programma Galileo alla fine degli Anni Novanta.

La globalizzazione europea fu avviata nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino e l'ingresso nell'Unione dei Paesi ex-comunisti. Avvantaggiati nella competizione dai bassi costi del lavoro e dai forti aiuti, sono stati la meta di enormi delocalizzazioni produttive. Con l'ingresso della Cina nel WTO, voluta da Bill Clinton, a partire dal 2001 c'è stata una seconda ondata di delocalizzazioni.
Condividi
"
Altri Editoriali
```