I sacrifici continui sul piano dei redditi, che avevano impedito di ritornare al PIL del 2008, avevano comportato il riequilibrio strutturale della bilancia commerciale, finalmente in attivo: i bassi salari avevano abbattuto le importazioni e reso più convenienti le esportazioni.
Il debito pubblico italiano, che nel 2008 era arrivato al 99,8% del PIL dopo una lunga stagione di sacrifici iniziata nel 1993, quando era stato del 127%, era ritornato nel 2019 al 128,7%:
l'Italia vive, soffre e lavora solo per pagare il debito.

Inutile dire che, con l'abbattimento del PIL per la pandemia, e le spese pubbliche aggiunte per sostenere l'economia, le famiglie e le imprese, il
debito pubblico italiano è tornato a farsi imponente:
nel 2022 è ritornato al 138% del PIL scendendo dal 149% del 2021 e dal 155% del 2020. Un miglioramento fittizio, solo per via della crescita del denominatore nominale, del PIL che è stato gonfiato dalla inflazione. Il debito è aumentato di 112 miliardi di euro, passando dai 1.797 miliardi del 209 ai 1.909 miliardi del 2022. Solo un deficit straordinario, mai visto prima, dell'ordine dell'8% del PIL, ha tenuto a galla il Paese: denari inghiottiti nel nulla.
Un
decennio drammatico,
tra austerità fiscale e crisi sanitaria, ha indebolito l'Europa.
Ora si tratta di riprendere a crescere, in un contesto di inflazione scatenata da politiche monetarie accomodanti, che ha imposto alti tassi di interesse.
A Bruxelles hanno adottato una strategia molto prudente, benevola solo all'apparenza: niente più Fiscal Compact, niente più bilanci in pareggio o in attivo per abbattere il debito, ma il ritorno alla strategia di Maastricht: limite del 3% al deficit annuo; controllo su un arco di tempo pluriennale della crescita della pubblica spesa al netto degli interessi; riduzione del rapporto debito/PIL al termine del periodo.
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