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Appello Menarini, l'avvocato Traversi chiede la piena assoluzione di Lucia Aleotti

"La sentenza è da ritenersi profondamente ingiusta perché sostanzialmente basata su congetture e illazioni, piuttosto che su specifici elementi di fatto"

Economia
Appello Menarini, l'avvocato Traversi chiede la piena assoluzione di Lucia Aleotti
(Teleborsa) - Processo d'Appello Menarini per il prezzo gonfiato dei farmaci. Dopo l'arringa del 24 ottobre dei difensori di Alberto Giovanni Aleotti, nell'udienza di oggi, 31 ottobre, è stata la volta dell'Avvocato Alessandro Traversi che assiste Lucia Aleotti assieme al Professor Franco Coppi, peraltro oggi assente per improvvisa indisposizione. Traversi ha chiesto la piena assoluzione dell'imputata.

Lucia Aleotti, figlia del Cavalier Alberto Sergio patron dell'industria farmaceutica multinazionale deceduto nel 2014, era stata condannata nel 2016 in primo grado a 10 anni e 6 mesi di reclusione per i reati di riciclaggio e corruzione e il fratello, solo per rcicliclaggio, a 7 anni e 6 mesi. L'accusa, nella scorse udienze ha chiesto per entrambi la condanna a 9 anni.

L'avvocato Traversi ha esordito davanti alla Corte citando Cartesio, il celebre matematico e filosofo francese del 1600, che nel famoso trattato "Discorso sul metodo" scrive che il "Buon Senso è la cosa più diffusa nel mondo poiché ciascuno è convinto di averne a sufficienza", domandosi il perché "persone ragionevoli si trovino in disaccordo su determinati argomenti, come sta avvenendo in questo processo. Si seguono infatti vie di pensiero differenti giungendo di conseguenza a conclusioni opposte".

Nel caso di Lucia Aleotti, ha sottolineato Traversi, la sentenza che la ritiene colpevole del reato di riciclaggio "è da ritenersi profondamente ingiusta, perché sostanzialmente basata su congetture e illazioni, piuttosto che su specifici elementi di fatto. E’ invece da escludere che costei abbia contribuito in alcun modo al riciclaggio dei proventi accumulati all’estero dal padre, negli anni dal 1980 al 2003, derivanti da evasione fiscale e gestiti da società panamensi".

"Costei, infatti, non ha mai fatto parte della articolazione aziendale occulta, come definita dai P.M. - ha proseguito il difensore nella sua arringa - "in quanto non è stata amministratore di alcuna società né letterbox (scatole vuote di solito utilizzate per sovrafatturazioni, n.d.r.) né panamense (gestioni di comodo nei paradisi fiscali, n.d.r.) , non ha effettuato operazioni finanziarie, non ha mai effettuato prelievi, bonifici o versamenti su banche estere. Anche perché questa attività di gestione finanziaria faceva capo esclusivamente al padre, che si avvaleva di banche, consulenti e professionisti svizzeri. Del resto, in linea con il carattere notoriamente autoritario e accentratore del Cavaliere Aleotti, i figli erano tenuti fuori dalle decisioni e non avevano certamente alcuna influenza su di lui".

Significativo, invece, il fatto che il Cavaliere abbia posto fine a questo sistema nel 2003, rimpatriando con lo scudo fiscale i capitali detenuti all’estero. Scudo fiscale che, però, secondo l’assunto accusatorio, costituirebbe esso stesso atto di riciclaggio. "Il che è una vera e propria contraddizione in termini - ha sostenuto Alessandro Traversi - dato che lo scudo era stato concepito come uno strumento per fare emergere attività finanziarie non dichiarate all’estero, mentre il reato di riciclaggio presuppone la volontà opposta e, cioè, quella di occultare proventi illeciti".

Il processo è stato aggiornato al 7 novembre.



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