(Teleborsa) -
Effetto devastante della
pandemia su economia e imprese. E
lavoratori. Drammatica la fotografia scattata più volte, nel corso dei mesi, da
Confcommercio che ha chiesto ripetutamente
sostegni e ristori più adeguati per il settore dei servizi, (commercio, turismo, ristorazione, trasporti), che più di ogni altro ha
pagato dazio all’emergenza coronavirus. Circa
300mila le
imprese del
commercio non alimentare e dei servizi che
rischiano di
chiudere i battenti in
modo definitivo. Tra le
cause principali ci sono certamente la
perdita quasi totale di fatturato e la conseguente crisi di liquidità a cui poi si devono aggiungere le
complicanze burocratiche che già in tempi normali affossano
l’attività economica ma che in una situazione così eccezionale hanno dato il colpo di grazia. Quindi uno
scenario desolante al quale purtroppo bisogna aggiungere
un altro elemento, anch’esso purtroppo storicamente presente nella vita di chi fa
impresa, ma che nell’ultimo anno è emerso
con ancora più forza:
l’usura. E proprio al fenomeno dell’usura e al suo impatto sulle imprese del commercio e dei servizi, è stata dedicata l’ottava edizione di
"Legalità, ci piace!", la giornata nazionale di
Confcommercio dedicata alla legalità alla quale ha partecipato, oltre al Presidente di Confcommercio,
Carlo Sangalli, il Ministro dell’Interno
Luciana Lamorgese."Come emerge dai nostri dati, infatti, dal 2019 ad oggi la quota degli imprenditori che ritiene aggravato il fenomeno è aumentata di
14 punti percentuali. E sono ad immediato e
grave rischio di usura circa 40mila imprese del commercio, della ristorazione e dell’alloggio". Così Sangalli nel suo intervento sottolineando "che nei momenti di crisi diventa una vera e propria piaga sociale. Basta guardarsi intorno per capirne le ragioni". "Nel
2020, le imprese del commercio, alloggio e ristorazione hanno subito una drammatica riduzione del volume di affari e oltre un terzo si è trovato stretto in un combinato disposto pericolosissimo, cioè la mancanza di liquidità combinata con una difficoltà sostanziale di accesso al credito. Ed è per questo che, senza sosta, in questi mesi abbiamo chiesto non solo indennizzi adeguati e tempestivi, ma anche
moratorie fiscali e creditizie ampie ed inclusive, la sospensione e la rateizzazione degli impegni fiscali e possibilità più ampie di accesso al credito". "Senza fatturato, senza liquidità, senza credito, e con i costi da pagare – ha osservato Sangalli - è facile capire
quanti imprenditori rischiano, infatti, di essere
facili prede per la
criminalità organizzata e le
pratiche di usura".Sangalli ha anche ricordato che "le
aperture per le sole attività all’aperto rischiano di penalizzare almeno la metà delle imprese che non possono usufruire di questa possibilità. E va detto che è anche una doppia penalizzazione per le imprese dei pubblici esercizi della montagna, considerate le stesse
condizioni climatiche". "Confcommercio – ha detto proseguito - chiede a questo proposito due ulteriori accorgimenti: da una parte,
favorire una sensibilizzazione nei confronti delle
amministrazioni locali nel permettere di utilizzare
nuovi spazi pubblici, così da assicurare maggiore vivibilità delle nostre città e territori; dall’altra parte, sarebbe importante anticipare prima possibile le aperture anche all’interno, con
distanziamento e protocolli di sicurezza".Il direttore dell’Ufficio Studi Confcommercio,
Mariano Bella rileva le "solite" differenze territoriali: "Il
Mezzogiorno purtroppo- ha osservato – paga un
prezzo più alto e il rischio di chiusura definitiva per le imprese è maggiore. Per fare un esempio, tra nove grandi città italiane colpite dall’usura,
Napoli, Bari e Palermo sono tra quelle
più a rischio". "Per diverse ragioni – ha detto Bella - le imprese del
Nord hanno patito di più la pandemia, eppure sia per una condizione strutturale di esposizione alla criminalità sia per una maggiore fragilità intrinseca dell’impresa, è il
tessuto produttivo del Sud ad apparire più soggetto a shock negativi". Bella ha poi osservato che "
l’usura rimane una tipologia di reato che fatica ad essere denunciato. A frenare la
propensione a denunciare - ha precisato - non è tanto la speranza di poter restituire il prestito, quanto piuttosto la paura di subire ritorsioni, la percezione di essere soli, la poca fiducia nella giustizia e la vergogna che caratterizza coloro che, in ultima istanza, si vedono costretti a rivolgersi
agli usurai".