L’altra coda grassa è il petrolio. Il celebre aforisma di Mae West, diva pop dei tempi suoi, per cui “
il troppo di una cosa buona è splendido” è messo in discussione dai mercati e li preoccupa. Il petrolio scontato è buono, quello a metà prezzo li disturba. Quando accadde in passato fecero default, tra gli altri, il Messico, il Venezuela, la Russia e una moltitudine di banche texane.
A differenza della crisi europea, destinata a continuare in forme sempre nuove perché i paesi membri si sopportano sempre meno tra loro e trovano politicamente più fruttuoso criticarsi l’un l’altro che accordarsi, la
crisi del petrolio non è strutturalmente preoccupante. Certo, per i produttori si profilano tempi grami, ma l’effetto di sistema è senza alcun dubbio positivo.
Tatticamente rimaniamo positivi di azionario ma sconsigliamo, alla vigilia di eventi dall’esito binario come le votazioni greche o il Qe del 22 gennaio, di fare puntate alte. Rimaniamo positivi sul
dollaro.
Quanto al
petrolio, le prime reazioni spavalde di molti produttori statali e privati (rimarremo profittevoli anche a 60 o a 50 dollari) fanno pensare che la soglia del dolore vero, quello che fa cancellare nuovi progetti o addirittura chiudere attività marginali, non sia ancora stata raggiunta e si trovi quindi più in basso. Qualcuno dovrà insomma ritirarsi dal gioco prima che il prezzo si stabilizzi e poi torni a salire. Per questo non ci scalda il cuore il fatto che i titoli del settore siano a sconto sul prezzo del greggio e sul valore di libro.
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