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La spasmodica corsa verso la mediocrità


C'è voluto un ventennio per far uscire l'Italia dall'impoverimento generato dalla seconda guerra mondiale. Un incidente di percorso, per quanto drammatico e doloroso, che ha però, di fatto, interrotto il tentativo italiano di ridurre le distanze dal resto del mondo che galoppava verso l'industrializzazione di massa.
C'è voluto un ventennio di sacrifici e lucida follia per riportare sulla retta via un paese che sembrava destinato a soccombere a se stesso, combattuto tra lo schierarsi oltre cortina, sotto l'ala sovietica, o seguire la via di una ricostruzione più indipendente e graduale, sotto la sorveglianza dall'Alleanza Atlantica.

Il fatto che abbia prevalso la seconda soluzione sembra aver fatto felici tutti gli italiani di buona volontà, permettendo di coltivare in tutta tranquillità l'italianità allo stato puro, cioè quell'essenza innata, non persistente, che alberga in ogni individuo della penisola, ma che poi, per meriti mai conquistati e virtù disattese, è stata schiacciata da stratificazione culturale suicida, impedendo, di fatto, la predisposizione a emergere.

Già, la cultura. E' problema annoso, conteso, dibattuto e preteso. La stratificazione culturale degli ultimi 40 anni ha costretto in un angolo buio il nostro pensare e agire in modo "lucidamente folle" sterilizzando, di fatto, la creatività a favore dell'omologazione e degli standard. Un lento processo di sgretolamento di valori comuni che avevano unito le precedenti generazioni in un patto indissolubile.
E invece la stratificazione culturale post '68 ha negato quella straordinaria essenza che si è persa dopo contaminazioni deleterie, finendo per soccombere al plagio. Un'idea surrogata di modello italiano, vincente solo per aree di nicchia, ma che non esprime la benché minima idea delle reali potenzialità del nostro paese che ha sempre trovato maggior forza nella coesione, nell'unità d'intenti, nell'espressione collettiva. Siamo finiti nell'area d'indifferenza e continuiamo a sguazzare nel fango della mediocrità, incapaci di reagire e in pieno stato d'incoscienza unita a un sottile senso di amarezza, frutto di quell'ultimo barlume di consapevolezza che siamo stati tutti noi a determinare, una situazione dalla quale uscire senza cedere all'istinto della caccia al capro espiatorio.

In tal senso nessuno può dirsi estraneo, nemmeno chi evoca da sempre, a ragione, l'insostenibilità di un modello di vita, ben sopra le reali possibilità. Perché se abbiamo avallato tutto, narcotizzati da apparenti ma positivi, effetti collaterali, o anche sopportato, senza indicare una via d'uscita in anticipo sullo sconquasso avvenuto, non sarebbe stato compromesso il risultato ottenuto dalle generazioni succedutesi negli ultimi 150 anni.

Abbiamo perso lo stile istituzionale, ma di più l'hanno perso i nostri governanti, con l'inqualificabile cedimento al clientelismo a scapito della meritocrazia e delle regole, che hanno avuto un effetto devastante per i valori sui quali il nostro paese ha fondato, da sempre, la propria prospettiva nella storia. Abbiamo dimenticato fatalmente che non esiste modello di Nazione che possa essere sostenibile senza connettere merito e sacrificio e accettato ineluttabilmente di correre verso la mediocrità.

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