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A chi giovano le riforme?

Insistere con le riforme istituzionali: polvere di stelle cadenti.

E' una strategia vecchia e soprattutto perdente, quella di scommettere ancora sulla accelerazione delle riforme, costituzionali ed elettorali, per consentire a chi è minoritario nel Paese di conquistare comunque un premio di maggioranza che consenta in futuro di governare finalmente senza né opposizioni né l'orpello del Senato, da sempre mala bestia. Perché l'economia che tanto si vorrebbe liberalizzare non c'è già più, perché i licenziamenti si stanno facendo chiudendo le fabbriche, perché non si produce se non si sa a chi vendere. La retorica del passato remoto, quella dei ruggenti anni Ottanta, attanaglia ancora i tanti sconfitti di una Seconda Repubblica ormai archiviata.

Troppi errori sono stati commessi nel frattempo: un rigore fatto di molte tasse e di pochi tagli agli stanziamenti, misure contabili assolutamente inadeguate rispetto alla esigenza di riorganizzare le innumerevoli strutture pubbliche di tutti i livelli dell'ordinamento. Sono state rese progressivamente atrofiche, inutili, riducendone i fondi quando non basta neppure alla mera autoamministrazione.

Tre anni fa il debito pubblico era pari al 120% del PIL, quest'anno siamo in rotta verso il 136%: il prodotto non cresce e l'inflazione si è azzerata. A settembre sarà troppo tardi, qualsiasi manovra si stiano immaginando a via XX Settembre: non ci sono spazi per nuove imposte e neppure per nuovi tagli, a meno che non si voglia passare direttamente alla sospensione dei servizi, con tanto di cartelli che avvertono: "Chiuso per mancanza di fondi".

Ormai siamo in tanti a suonare la campanella dell'ultimo giro, per l'abbattimento del debito pubblico con misure straordinarie: da Marco Carrai a Paolo Savona su Il Sole-24 Ore. Ma si sta facendo tardi anche per questa decisione: lo stato di prostrazione dell'economia richiede di rimettere in funzione le rotative. Il Tesoro deve ricominciare a spendere, saldando i propri debiti con titoli di Stato: serve liquidità, una nuova moneta parallela all'euro.

Inutile farsi illusioni sulle T-Ltro: per secoli siamo andati avanti con le cambiali, che muovevano il commercio di mezzo mondo. L'euro non basta: oggi è solo una moneta bancaria, che entra in circolazione attraverso il credito. Ma le banche non ne erogano perché l'economia è asfittica, perché gli operatori pubblici europei hanno piombato tutti i consumi interni ed anche il canale estero è occluso. Serve nuova domanda interna aggiuntiva, per alimentare i consumi di fascia medio-alta: dagli immobili alle automobili, le industrie fondamentali della nostra economia. Si abbatta il debito, si riorganizzi l'apparato pubblico, si immetta liquidità con il canale del Tesoro. Sono queste le vere riforme: quelle in discussione solo rimasticature del passato. Polvere di stelle cadenti.

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