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Chi sarà il primo a fare il botto?

Brexit, conflitti negli Usa, Gilets Jaunes, banche tedesche, incognite cinesi...

Non lo sa nessuno, con certezza, né dove né quando scoppierà la prossima crisi.

A fare paura è proprio la interconnessione sistemica tra le economie mondiali. La tanto osannata globalizzazione si fonda su una supply-chain inestricabile delle produzioni a fare da moltiplicatore, e sulla interdipendenza finanziaria, con i debitori che possono fallire da un momento all'altro, con la conseguenza che da una parte si azzera il valore dei crediti e dall'altra si manda in tilt il gigantesco sistema di garanzie sui rischi che sono stati coperti con i derivati. Come accadde per la Lehman Brothers, le banche che hanno offerto garanzie non avranno mai i fondi per coprire le perdite. Gli Stati sono in genere già abbondantemente indebitati, e le Banche centrali hanno i bilanci già zeppi di titoli.

Una crisi sistemica ci porterebbe alla catastrofe.

Troppe sono le aree di rischio.

A Londra, c'è la questione della Brexit, che ha una matrice eminentemente politica, con la data del recesso che scocca il prossimo 29 marzo. Oggi, martedì 15 gennaio è previsto il voto dei Comuni sulla proposta di Accordo concluso dalla Premier Theresa May con il negoziatore Michel Barnier, già convalidato dal Consiglio dei Ministri della Unione. Non c'è una maggioranza a Westminster per approvarlo, ma nessuno vuole affrontare i rischi di un no-deal. Nessuno ha la minima idea di come andrà a finire.

A Washington, ormai si è allo scontro istituzionale, con il muro contro muro tra la Camera dei Rappresentanti ed il Presidente Donald Trump, per via del diniego della prima ad autorizzare i fondi richiesti da quest'ultimo per continuare la costruzione del muro al confine con il Messico. Trump, per ripicca, non ha autorizzato la gestione del bilancio, e così si è fermata una parte rilevante della macchina amministrativa federale. Come se non bastasse, ci sono state le dimissioni del Segretario alla difesa, l'ex-generale Matthis, per via della contrarietà di quest'ultimo rispetto alla decisione presidenziale di far rientrare le truppe dalla Siria. Ultima, ma non meno importante, è la diversità di vedute sulla politica monetaria: Trump non vuole un aumento dei tassi, perché rafforza il dollaro rendendo più convenienti le importazioni ed aumenta i costi finanziari per le famiglie e le imprese. Al contrario, il Presidente della Fed Jerome Powell anche a dicembre ha continuato ad aumentare i tassi di un altro quarto di punto: ha paura che la bolla di Wall Street riprenda a gonfiarsi dopo le forti limature del 2008. Negli Usa, quindi, le scintille sono tante ed il barile di benzina può incendiarsi in un attimo.
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