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Chi sarà il primo a fare il botto?

Brexit, conflitti negli Usa, Gilets Jaunes, banche tedesche, incognite cinesi...


A Parigi, la protesta dei Gilets Jaunes non accenna a placarsi, nonostante la flessione nella partecipazione alle manifestazioni. Non c'è dubbio che molte persone sono rimaste scosse per la violenza degli scontri, ma questo non ha fatto venir meno il consenso verso questa inedita forma di malessere diffuso. Si avvia ora, su proposta dello stesso Presidente Emanuel Macron, un Grande Dibattito sulle strategie politiche dei prossimi anni. Il fatto è che tutto sembra già incardinato su binari precisi, e che non ci sia nessuno spazio per affrontare le questioni sociali fondamentali: potere di acquisto delle famiglie, bassi salari, disoccupazione endemica. Il rischio è che, alla fine, anziché trovare un accordo, si radicalizzino le divergenze, come accadde già con la convocazione degli Stati generali a cui seguì la defezione del Terzo Stato, riunitosi nella Sala della Pallacorda. Il precedente storico è inquietante.

A Berlino, ci si avvia dritti alla recessione: non sono le esportazioni a cedere, ma l'economia interna che è stata salassata da una severità fiscale inaudita. Il surplus di bilancio sottrae continuamente risorse ai cittadini ed alle imprese tedesche, con l'obiettivo di ridurre velocemente il debito pubblico. Dunque, altre tasse, tagli alle spese, e niente investimenti. Occorre mettere i conti a posto per difendersi dalle conseguenze di una prossima crisi globale: si risparmiano le munizioni che serviranno per salvare nuovamente le banche tedesche che sono nuovamente zeppe di derivati. Le difficoltà di Deutsche Bank e di Commerzbank sono note da tempo. Forse è una illusione, perché nessuno presterà i soldi alla Germania di fronte ad una nuova crisi bancaria sistemica. Bisogna solo incrociare le dita.

A Pechino hanno già cominciato a prendere provvedimenti anticiclici, sia varando una manovra fiscale che taglia le tasse sui redditi, sia allargando i cordoni del credito bancario. I dati recentissimi sul commercio con l'estero sono pesantissimi: a dicembre, l'export è caduto del 4,4% mentre ci si attendeva un aumento del 5%: l'import ha registrato una flessione del 7,6% rispetto ad una crescita prevista al 4%. Se il motore cinese si inceppa, le conseguenze a ritroso sui Paesi fornitori saranno immediate e pesantissime. Il Governo cinese ha in mano leve decisionali molto più ampie di quelle di cui dispongono i governi occidentali, ma potrebbero non bastare: l'ombrello è stato aperto, ma sarebbe troppo piccolo se, anziché limitarsi a piovere, arrivasse una tempesta.

A Roma, ci si guarda intorno, dissimulando lo sgomento. E' stata sventata una crisi sui mercati, trovando un accordo purchessia con la Commissione europea. Abbiamo comprato, se va bene, sei mesi di tempo. In politica, sono tutti fedeli all'ammonimento del Divo Giulio: “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”.

Brexit, conflitti negli Usa, Gilets Jaunes, banche tedesche, incognite cinesi….

Chi sarà il primo a fare il botto?

(Foto: © Eduardo Huelin/123RF)
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