Si afferma infatti che la Gran Bretagna perderà anche il suo fiore all'occhiello, visto che la City si svuoterà a favore di Parigi e Francoforte, mentre le grandi industrie sposteranno la produzione altrove, a cominciare da quella automobilistica. Il perché è presto detto: la finanza inglese perderà il privilegio del
passaporto finanziario, cioè la possibilità di operare in tutta l'Unione europea senza avere una organizzazione stabile nei diversi Paesi ma solo in Gran Bretagna.
La realtà è ben diversa.
Basta pensare alle merci esposte da anni nei supermercati, in Gran Bretagna e nel resto dell'Europa: pompelmi di Jaffa, arance tunisine, uva sudafricana, riso vietnamita, ananas brasiliani, caffè etiopico, rhum delle Antille, bourbon americano, aglio cinese, fragole cilene.
Arriva di tutto da tutto il mondo, ma il commercio con l'Europa sarebbe bloccato, non si capisce perché.
La minaccia di togliere il passaporto finanziario non fa affatto paura: da Londra hanno già fatto sapere che a decorrere dal 29 marzo saranno
inoperative tutte le coperture dei rischi previste con i contratti derivati stipulati con controparti britanniche o aventi sede in Gran Bretagna. I contratti cesseranno di essere applicabili: è una prospettiva che fa accapponare la pelle, perché non c'è nessun altro soggetto in grado di subentrare. E già anche il Ministero del tesoro italiano ha fatto sapere che è pronta la decretazione d'urgenza che eviti qualsiasi soluzione di continuità, evitando problemi sui mercati finanziari.
La strategia era chiara: terrorizzare il popolo inglese, suscitare l'isteria collettiva, ricorrendo comunque a scenari diversi dalla caduta del mercato azionario e dalla paralisi dei mercati finanziari, che ormai fanno meno paura di una pistola ad acqua. Sono stati utilizzati senza successo all'epoca del voto referendario: il popolo disse sì alla Brexit e non accadde nulla di quanto temuto. Una minaccia andata a vuoto, che è meglio far dimenticare.
Occorre convincere l'opinione pubblica inglese a pressare il Parlamento, affinché approvi l'Accordo già stipulato dalla premier Theresa May con l'Unione europea. Il fatto è che
Westminster ha già respinto l'approvazione dell'Accordo, e ne ha chiesto una
rinegoziazione che la Commissione europea dichiara impossibile.
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