Palestinesi e Curdi sono accomunati da un unico destino storico: quello di essere
sacrificati ad interessi geopolitici immensamente più importanti del loro desiderio di avere un proprio Stato. Per anni, le richieste dei Palestinesi si sono dimostrate vane, come vano è stato il ricorso fatto alla violenza ed al terrorismo che ha insanguinato senza sosta quell'area del Medioriente. Ancora oggi, l'idea di avere due Stati per due popoli, quello Ebraico e quello Palestinese, è lungi dal trovare una realizzazione.
I Curdi, nel nord dell'Iraq, hanno ottenuto da qualche anno a questa parte, dopo la caduta del regime guidato da Saddam Hussein, una certa autonomia amministrativa. Da anni, nella fascia meridionale della Turchia, ci sono tensioni autonomistiche, con il partito che si identifica nella minoranza curda, il
PKK, che
viene considerato fuori legge.
Come è accaduto a partire dagli anni Cinquanta per la causa dei Palestinesi, tra sostenitori ed oppositori, ora sta accadendo lo stesso per quella dei Curdi: c'è chi vorrebbe dare loro uno Stato per ragioni coerenti con il principio della autodeterminazione dei popoli, e chi vi si oppone per mantenere fermo quello della assoluta inviolabilità delle frontiere disegnate alla fine della Seconda Guerra mondiale.
Di recente, la
dichiarazione di autonomia della Crimea dalla Ucraina, dopo la crisi profondissima che questo Paese ha vissuto per essere attratto dagli Occidentali da una parte e dalla Russia dall'altro, testimonia il rilievo degli equilibri geopolitici globali nella instabilità delle diverse regioni. Per quanto l'autonomia sia stata decisa con un referendum popolare, che ha portato alla sua annessione alla Russia,
questa alterazione delle frontiere è stata considerata un vulnus gravissimo per l'ordinamento internazionale: indietro non si torna, ma la Russia non poteva in nessun caso perdere la sua più grande base militare nel Mar Nero. A nessun costo.
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