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BCE: una nuova, pericolosa Exit Strategy?

Ancora troppe incertezze: è rischioso ridurre l'inflazione strangolando i mercati


Lo stesso aveva fatto la Fed americana, immettendo dollari senza fine, mentre il governo federale erogava sussidi a tutti.

Alla ripresa delle attività produttive, già nella primavera del 2021, si è registrata una violenta fiammata inflazionistica ancora in corso: ancora a gennaio scorso, nell'Eurozona è stato registrato una crescita annua dei prezzi del 10%. Nel frattempo, per via di una congerie di fattori negativi e di incertezza, il tasso di crescita è arrivato a zero.

La determinazione con cui la Fed ha aumentato per prima i tassi di interesse, e poi ha iniziato a ridurre il portafoglio di titoli federali, ha prodotto un indebolimento dell'euro, svalutatosi inizialmente del 20% rispetto al dollaro: i capitali investiti in euro trovavano evidentemente più attraente la maggiore remunerazione in dollari.

Un euro debole sul dollaro, quando le merci importate sono quotate in dollari, non poteva che penalizzare l'Europa per via di un corrispondente aumento dei prezzi all'importazione: anche se i prezzi delle merci in dollari erano sempre gli stessi, quando venivano pagati cambiando gli euro in dollari, costavano il 20% in più.

La BCE ha dovuto rincorrere la Fed, alzando i tassi a sua volta, ed in effetti il cambio dell'euro è rimbalzato. Ma nell'Eurozona siamo ancora a mezza strada rispetto alla Fed: perdere il ritmo degli aumenti dei tassi potrebbe indebolire nuovamente l'euro, rendendo nuovamente più care le importazioni e dunque alimentando l'inflazione.

Nell'Eurozona, così come negli Usa, siamo di fronte ad un conflitto tra gli orientamenti della politica fiscale rispetto a quella monetaria: la prima è ancora espansiva mentre la seconda è restrittiva. I deficit di bilancio saliranno dai 1.518 miliardi del 2022 ai 1.565 miliardi previsti per il 2023.
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