Per le banche, il margine di interesse è una primaria fonte del profitto: nel comprare e rivendere il denaro a tempo, il primo fattore è un costo, mentre l'altro è un ricavo. Più il primo è basso ed il secondo è alto, maggiore è il margine e dunque il profitto.
Le
manovre sui tassi di interesse decise dalle Banche centrali influenzano profondamente i comportamenti degli operatori economici: più elevato è il costo del denaro, minore sarà la domanda di credito; ma, di converso, la propensione al risparmio crescerà a mano a mano che gli interessi più elevati sui depositi bancari o sugli investimenti di portafoglio compenseranno la erosione determinata dalla inflazione.
Se, in prospettiva, i
risparmiatori si convincessero che i prezzi saliranno meno del risparmio investito e che frutta interessi, l'aumento del risparmio sarebbe preferibile rispetto ad una spesa immediata che evita la erosione prospettica della capacità di acquisto derivante dall'aumento dei prezzi.
L'adeguamento dei tassi attivi delle banche è dunque fondamentale per aumentare i loro ricavi.
Ma un
aumento dei tassi passivi, quelli pagati dalle banche sui depositi, è altrettanto indispensabile per evitare che questi vengano ritirati per essere impiegati in modo più profittevole: le banche, a fronte del ritiro dei depositi, devono coprire queste richieste finanziandosi sul mercato, o ricorrendo direttamente alla corrispondente Banca centrale, ad un costo particolarmente elevato. Ed a quel punto si crea una riduzione del margine di interesse: il costo di questi finanziamenti, resisi necessari per finanziare il ritiro dei depositi, potrebbe essere assai più caro dei proventi dei prestiti erogati, essendo numerosi a tasso fisso, come i mutui o gli investimenti in titoli di Stato a medio e lungo termine che sono stati sottoscritti quando il loro rendimento era bassissimo, pari a zero se non negativo.
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