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Consob, aumentano donne nei CdA. Savona: puntare su successo sostenibile

Finanza
Consob, aumentano donne nei CdA. Savona: puntare su successo sostenibile
(Teleborsa) - A fine 2021 il 41% degli incarichi di amministrazione nelle società quotate era esercitato da una donna, dato che rappresenta il massimo storico osservato sul mercato italiano, ma è ancora limitato il numero delle donne amministratore delegato - 16 società, rappresentative di poco più del 2% del valore totale di mercato - o presidente dell'organo amministrativo - 30 emittenti, 20,7% della capitalizzazione complessiva. È quanto emerge dal Rapporto Consob sulla corporate governance delle società quotate italiane, giunto alla decima edizione e presentato questa mattina in un convegno organizzato da Consob, il Comitato Italiano per la Corporate Governance e Assonime.

Governo societario e board diversity

Nel rapporto viene evidenziato che l'elevata presenza delle donne nei CdA delle quotate avviene anche per effetto dell'applicazione delle normative sulle quote di genere. All'interno dei consigli d'amministrazione per le donne prevale il ruolo di consigliere indipendente (tre casi su quattro). Nel 30% dei casi le donne sono titolari di più di un incarico di amministrazione (interlockers), circostanza che si verifica con maggior frequenza rispetto agli uomini. Il dato mostra comunque una flessione rispetto all'anno precedente e al massimo raggiunto nel 2019 (34,9% di donne interlockers).

A fine 2021, la maggior parte degli emittenti ha applicato la quota di genere dei due quinti: in particolare, si contano 131 società, nel cui organo amministrativo siedono in media 4 donne che rappresentano quasi il 44% del board.

I membri degli organi di amministrazione delle società quotate italiane a fine 2020 hanno un'età media di circa 57 anni e sono stranieri nel 5,5% dei casi; sono inoltre quasi sempre laureati (89% dei casi) e con un profilo prevalentemente manageriale (66%). I membri degli organi di controllo hanno in media 56 anni e sono raramente stranieri; sono inoltre laureati nel 96% dei casi e con un profilo riferibile a quello del professionista/consulente in circa l'85% dei casi.

Assetti proprietari

La concentrazione proprietaria delle società quotate italiane è lievemente calata nel tempo, come emerge dal dato relativo alla quota del primo azionista passata in media dal 48,7% nel 1998 al 47,6% nel 2020. In linea con gli anni precedenti, le famiglie continuano a essere i principali azionisti di riferimento, controllando il 64% delle imprese quotate, mentre lo Stato e gli altri enti locali rappresentano l'azionista di riferimento in circa una società su dieci.

Assemblee e politiche di remunerazione

Nel 2021, la partecipazione degli azionisti alle assemblee delle 100 società quotate a più elevata capitalizzazione ha registrato un aumento rispetto all'anno precedente (è intervenuto in media il 74,6% del capitale sociale, contro il 73,6% registrato nel 2020). Gli investitori istituzionali hanno rappresentato in media il 22,8% del capitale sociale (22,2% nel 2020). Gli investitori istituzionali italiani, la cui partecipazione ha raggiunto il 2,5%, in aumento rispetto all'1,9% nel 2020, hanno preso parte a 95 adunanze, il dato più alto dal 2012 (anno di inizio delle rilevazioni), con una quota media del 3,6% delle azioni rappresentate in assemblea (3% nel 2020).

In media le politiche di remunerazione, soggette a voto vincolante dal 2020, sono state approvate da circa due terzi del capitale sociale e da quasi il 90% del capitale sociale rappresentato in assemblea. Gli investitori istituzionali hanno espresso consenso sulla politica di remunerazione con una percentuale pari al 64,4% dei loro voti (21,2% del capitale presente in assemblea). Il dissenso è stato espresso da poco più dell’8% del capitale sociale (11,1% dei voti assembleari), in modo più rilevante dagli investitori istituzionali (7,1% del capitale sociale e 9,9% dei voti assembleari). Il voto consultivo sui compensi corrisposti nell'esercizio precedente ha registrato consensi pari al 66% del capitale sociale e all’87,7% dei voti rappresentati in assemblea. Il 36% dei voti degli investitori istituzionali è riferibile a manifestazioni di dissenso.

La necessità di puntare sul successo sostenibile

"Dalle relazioni pubblicate nel 2021 emerge che poco meno della metà delle società, prevalentemente di dimensioni grandi e medie, forniscono informazioni sul perseguimento del successo sostenibile, pochissime hanno inserito il successo sostenibile nello scopo sociale statutario", ha detto il presidente della Consob Paolo Savona durante il convegno.

"È invece obbligatorio, per le società quotate, con la trasposizione della Direttiva sui diritti degli azionisti, illustrare come la politica di remunerazione degli amministratori contribuisca al perseguimento degli interessi a lungo termine e alla sostenibilità della società. Principio chiaro, la cui applicazione, tuttavia, si presenta difficile", ha avvertito.

"L'evoluzione del contesto giuridico e le norme di autodisciplina richiedono quindi alle società obblighi di trasparenza e misurazione sempre più estesi nello spazio e nel tempo, che non si possono esaurire in esercizi di compliance, ma dovrebbero poggiare - ha spiegato - su scelte strategiche e su innovazioni nella governance e nell'organizzazione. Si tratta di unire i comportamenti alla trasparenza e al tempo".

Il rapporto Consob, ha messo in evidenza l'economista, "coglie alcuni segnali di cambiamento della governance. È aumentato il numero di comitati sulla sostenibilità interni al Consiglio e sono cresciute le competenze degli amministratori, sia sulla sostenibilità che sulla digitalizzazione/informatizzazione". L'analisi delle competenze degli amministratori evidenzia, tuttavia, la "complessità del processo di trasformazione. Non sono sempre convergenti le definizioni di competenze nelle due materie citate".
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