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Consumi, Il mercato della “non crisi” esiste ma vi partecipa solo l’1% delle aziende italiane

Economia
Consumi, Il mercato della “non crisi” esiste ma vi partecipa solo l’1% delle aziende italiane
(Teleborsa) - “Spendere soldi solo in ciò che serve” questa è una frase che sentiamo più spesso nei periodi di crisi o di inflazione. Ma è realmente cosi? Il marchio Prada, nel 2021 registra +41% rispetto al periodo pre-pandemico e nei i primi 6 mesi del 2022 è già a un +22% rispetto all’anno precedente. Il marchio Gucci, chiude il 2021 con un fatturato in crescita del 31%, a 9,73 miliardi di euro rispetto all’anno prima e nel primo trimestre del 2022 genera 2,59 miliardi, il 19,5% in più del 2021.

Una crescita impressionante per aziende che di certo non vendono beni di prima necessità, ma per questi brand non esiste la crisi? “No, non esiste mai la crisi, perché il la loro politica commerciale non è basata sul prezzo ma sulla loro reputazione” – afferma Gio Talente – Spin Doctor ed esperto di reputazione aziendale – “per questi brand, come tanti altri che utilizzano la stessa tipologia di approccio commerciale, non paghi per il prodotto che compri ma per il valore reputazionale che assume la persona avendo quel tipo di prodotto”.

Ma quanto vale la reputazione di un’azienda? Quantificarlo non è affatto semplice ma un recente sondaggio promosso da Weber Shandwick, in partnership con KRC Research, ha rivolto questa domanda a ben 2.227 dirigenti di società di grandi dimensioni per fatturato, operanti in 22 differenti mercati. Dalla somma di diversi fattori, emerge che la reputazione su un brand o su un imprenditore porta il consumatore finale a comprare il 63% del volte in più rispetto a un brand o imprenditore con una reputazione, scarsa o irrilevante: “Questo vuol dire -spiega Giò Talente, - che se la politica commerciale di un’azienda fosse centrata sulla reputazione anziché sul prezzo, a giovarne sarà sia il consumatore che l’azienda produttrice, permettendo a quest’ultima di essere ricordata per il valore che dà ai propri consumatori”.

La reputazione quindi, è il “documento d’identità” di un brand o di un’impresa e senza “documento d’identità” non puoi accedere da nessuna parte, senza reputazione non puoi accedere al mercato della “non crisi”. “E’ esattamente così - prosegue Talente - le persone hanno soldi per spendere e desiderano acquistare, ma prima farlo si informano, cercano di capire e vogliono sicurezze. La reputazione aziendale risponde immediatamente a tutto ciò e risolve ogni dubbio perché, è il giudizio più naturale e incondizionato del mercato, senza reputazione le persone attivano i due schemi comportamentali che uccidono le aziende: procrastinazione e accumulo di denaro”

Che le persone hanno soldi da spendere sembra sarcastico ma, effettivamente, dalle ultime rilevazioni della Banca d’Italia, sui conti correnti degli italiani sono depositati 110 mila miliardi di euro, ovvero più di sei volte il Prodotto interno lordo (Pil). Questo conferma la netta differenza tra imprese con una forte riconoscibilità in termini di reputazione che entrano di diritto nel mercato della “non crisi” rispetto alle altre, che vengono travolte dalla crisi. La soluzione in pratica è che più si punta a far crescere la reputazione, minore è il tempo che il cliente impiega a comprare senza badare al prezzo: “La percezione di notorietà data dalla forte reputazione che si dà ai propri clienti – ribadisce lo Spin Doctor - è la migliore strategia che si possa usare per avere, nel tempo, una costanza di vendite o di consensi. È lo stesso concetto che vale per grandi marchi come Gucci, Prada, Louis Vuitton. Rolex, Apple. Non hanno bisogno di pubblicizzare un prodotto specifico, quando fanno promozione lo fanno per il brand, affinché si affermi ancora di più. Sono brand noti in tutto il mondo perché, da anni, fanno sempre lo stesso tipo di comunicazione, affermando gli stessi valori”.

Per i grandi brand abbiamo capito come funziona, ma un’azienda che ancora non ha ancora fatto investimenti in reputazione o una startup che ancora non può godere di una reputazione deve attuare una scelta strategica importante come quella di affidarsi ad uno spin doctor, ma con un’avvertenza importante: “Lo Spin Doctor aziendale -chiarisce Talente- non va mai confuso con il ruolo di chi fa marketing o gestore dei social network. Lo spin doctor, agisce su strategie avanzate di comunicazione strategico-percettiva, capaci di attirare l’attenzione del consumatore, fargli acquistare il prodotto e far vivere a quest’ultimo un’esperienza tanto memorabile da diventare motivo di vanto nella società in cui vive.”

In Italia, però, questa figura è ancora poco utilizzata o poco chiara e spesso viene associata alle strategie di comunicazione politica: “Questo è parzialmente vero -prosegue Gio Talente- e non bisogna considerare questa figura semplicemente come consigliere politico o ghostwriter per i discorsi durante i comizi della campagna elettorale. Erroneamente, nel nostro Paese, lo spin doctor viene concepito come figura che opera in politica in quanto la maggior parte dei politici italiani si affida a questa figura perché è impreparata ad affrontare i processi comunicativi nella sfera pubblica. Tuttavia, lo spin doctor è parte integrante delle aziende di qualsiasi dimensione e che operano in tutti i settori di mercato”.

Lo spin doctor, dunque, non lavora come un’agenzia pubblicitaria che opera con strategie di marketing dalle super-promesse, la brand reputation del cliente viene migliorata attraverso colpi ad effetto del linguaggio comunicativo. “La strategia dello spin doctoring -conclude Gio Talente- si basa totalmente nell’utilizzo di tecniche per orientare la mente dei clienti, lo scopo è quello di far abbandonare qualsiasi obiezione in maniera naturale e spingerli a non rivolgersi più alla concorrenza per acquistare un prodotto o un servizio: la strategia tende a ottenere la più alta reputazione di consenso possibile”.

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