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Tod's e Saras lasciano la Borsa tra flusso di delisting e carenze del Ddl Capitali

Finanza
Tod's e Saras lasciano la Borsa tra flusso di delisting e carenze del Ddl Capitali
(Teleborsa) - L'annuncio dell'addio a Piazza Affari di due importanti aziende italiane - Tod's e Saras - nella stessa settimana in cui è arrivata l'approvazione del Ddl Capitali suona come una beffa. Così come lo era stata la decisione da parte di Brembo di trasferire la propria sede legale ad Amsterdam proprio quando erano iniziate le audizioni parlamentari per il disegno di legge lo scorso anno. Eppure collegare i fatti non è scontato, perché la leva normativa è solo uno degli aspetti che impattano sulle decisioni strategiche e di mercati dei capitali, e perché l'ondata di delisting - che ormai insiste da qualche anno - non riguarda solo il listino italiano.

Intanto, Borsa Italiana si appresta a perdere altri 3 miliardi di euro di capitalizzazione, dopo che la famiglia Moratti ha deciso di uscire da Saras vendendo la sua quota di controllo al trader internazionale di materie prime Vitol, con un accordo per la cessione del 35% che valuta l'intero gruppo di raffinazione 1,7 miliardi di euro, che sarà seguita da un'OPA per ritirare il titolo da Euronext Milan. Il fondo L Catterton, partecipato da LVMH, lancerà invece un'OPA amichevole (la famiglia Della Valle aderirà all'offerta, mantenendo il controllo con il 54%) sul 36% di Tod's a 43 euro per azione, valutando la società poco più di 1,4 miliardi di euro, e anche in questo caso con l'obiettivo di ottenere il delisting.

Le motivazioni per le operazioni sono comunque differenti. "Dopo 62 anni dalla sua fondazione avvenuta ad opera di mio padre, con i miei nipoti Angelo e Gabriele ed i miei figli Angelomario e Giovanni, ho ritenuto che la miglior garanzia per il futuro successo della raffineria di Sarroch fosse l'aggregazione con un primario operatore industriale del settore energetico globale, quale è Vitol, dotato di risorse relazionali, finanziarie e manageriali necessarie per competere nell'attuale contesto di mercato internazionale", ha detto l'AD di Saras, Massimo Moratti. Tod's ha invece spiegato che il delisting "è un presupposto per assicurare il perseguimento dei programmi futuri di crescita e il rafforzamento" della società, perché consentirà una "maggiore flessibilità gestionale e organizzativa, con tempi di decisione e di esecuzione più rapidi", oltre a una riduzione dei costi.

Tod's e Saras sono solo le ultime due di una lunga lista di società che hanno abbandonato il listino italiano negli scorsi anni. Limitandosi agli ultimi due anni, si può notare che nel 2023 ci sono stati 24 delisting (con una capitalizzazione persa complessivamente di oltre 11 miliardi di euro) mentre nel 2022 si erano registrate 22 uscite (capitalizzazione persa di oltre 43 miliardi di euro). Su questi numeri pesano le uscite di Autogrill, e di Exor e Atlantia, rispettivamente le holding delle famiglie Agnelli e Benetton. A queste si aggiunge il delisting da Milano, con la quotazione unica a New York, di CNH Industrial, arrivata a inizio 2024.

"Ormai il fatto che ci siano meno società sui listini è una tendenza consolidata. Le aziende si quotano meno e tornano in mani private con più facilità", afferma Maurizio Dallocchio, professore di Corporate Finance presso SDA e Università Bocconi, che identifica tre motivi principali.

"La prima motivazione è che la Borsa sta catalizzando l'interesse degli investitori su pochi titoli, tendenzialmente di natura tecnologica: nel 2023 sette delle prime otto società quotate sono tecnologiche (tranne Saudi Aramco), con la capitalizzazione delle prime della lista che è circa 6 volte superiore a quella che attraevano 15-20 anni fa - spiega l'esperto - La seconda ragione è legata alla complessità di natura amministrativa, di costo e di gestione in senso lato che deriva dallo status di società quotata; credo che all'interno del CdA di una società quotata si parli di business per il 40% del tempo, mentre per il 60% del tempo si parla di amministrazione, compliance e audit. Un terzo tema, soprattutto per i paesi con prevalenza di aziende familiari come in Italia, è la tutela rafforzata delle minoranze, quasi fosse un'ingerenza".

I delisting di Tod's e Saras stanno facendo discutere perché, oltre che rappresentare due società molto note e con alle spalle famiglie importanti del capitalismo italiano, arrivano in un momento di attenzione da parte dei legislatori per la Borsa. Negli scorsi giorni è infatti arrivata l'approvazione del Ddl Capitali (serve solo un altro passaggio al Senato per motivi tecnici legati alle coperture) e l'accordo politico di Consiglio e Parlamento UE sul Listing Act.

Secondo molti, è eccessivo pensare che interventi pensati soprattutto per eliminare il gold plating possano avere un effetto dirompente sulle scelte delle società. "In Italia c'è un tema di scarsa vivacità del mercato delle quotazioni, dunque si giustificano i tentativi di agire sulla normativa per rendere la borsa più attraente - dice Luca Enriques, professore di Corporate Law all'Università di Oxford ed ex Commissario CONSOB - Ma è anche vero che la leva regolamentare non è decisiva, perché anche la scarsa vivacità del mercato delle quotazioni non è un fenomeno solo italiano. In altri termini, serve ma non possiamo illuderci che sia una panacea".

Un altro aspetto da considerare è che il Ddl Capitali si è concentrato su misure a costo zero per la finanza pubblica, mentre secondo gli operatori servono interventi più incisivi e diretti a investitori istituzionali domestici e intermediari finanziari (come emerso nel Manifesto per lo sviluppo dei Mercati dei Capitali in Italia), e introdotto norme che non erano nel progetto iniziale. È il caso del controverso articolo 12, quello oggetto di numerosi emendamenti e che consente (per legge e non più solo per prassi di mercato) allo statuto societario di prevedere che il CdA uscente possa presentare una lista di candidati per l'elezione dei componenti del medesimo organo di amministrazione.

Il risultato finale è una formulazione complessa e che rappresenta un unicum a livello internazionale, con risultati quasi paradossali in cui una lista vincente potrebbe non ottenere la maggioranza assoluta, o in cui non si avrebbe automatica certezza sull'elezione del presidente e dell'AD indicati dalla lista del CdA risultata vincente. La norma ha già attirato le osservazioni di importanti manager italiani, con il CEO di Banco BPM Giuseppe Castagna che ha parlato di "aggiustamenti necessari" e il CEO di Mediobanca Alberto Nagel che ha parlato di "un provvedimento che sarà difficile applicare o richiederà interventi correttivi se si vuole renderlo applicabile".

Secondo Enriques, "la nuova disciplina della lista del consiglio è purtroppo un indice evidente dell'incapacità di alcuni politici di comprendere a fondo le logiche della regolamentazione del mercato dei capitali. Va in direzione diametralmente opposta alla logica di fondo del Ddl Capitali e rischia di spingere le pur poche società ad azionariato diffuso (si pensi a una realtà come Prysmian) a migrare in Olanda perché per loro, in mancanza di correttivi tali da rendere innocua la disciplina oggi in via di approvazione, diverrà praticamente impossibile eleggere i CdA". "Per altri versi il Ddl Capitali contiene qualche semplificazione, ma anche novità che gli investitori istituzionali (di gran lunga i principali compratori di azioni) hanno giustamente criticato - aggiunge - Mi pare ad esempio grave che una società che già ha adottato il voto maggiorato, e dunque consegnato il controllo dell'assemblea straordinaria al socio di controllo, rimetta a tale socio la scelta di concedersi fino a dieci voti, quando sarebbe stato invece opportuno prevedere che su questa delibera ciascuno dei soci non abbia più di un voto per azione".

È di parere simile Dallocchio, che come molti operatori apprezza le intenzioni e diverse novità emerse, ma evidenzia anche elementi critici: "La nuova normativa è molto interessante nelle intenzioni, perché riporta dei temi rilevanti come il focus sulle PMI - che in Italia sono troppe e che spesso tornano anche piccole per problemi nelle successioni familiari -, la semplificazione della procedura di ammissione alla quotazione e uno svolgimento delle assemblee più snello e meno aperto a ingerenze terze che hanno l'obiettivo di disturbare".

"Trovo però che la tutela delle minoranze rafforzata che esce dal Ddl Capitali impaurisca ancora di più i mercati e gli imprenditori - aggiunge - Questo è un tema su cui il legislatore dovrà fare una riflessione più attenta. Per quanto riguarda la lista del CdA, immettere una complessità così elevata fa sì che ci sia il rischio che qualcuno pensi di andare a quotarsi in un mercato diverso, dove una severità così acuta nei confronti del consiglio di amministrazione non esiste. C'è il fascino della democrazia societaria, che è una bellissima espressione, ma non può calpestare i diritti delle maggioranze".
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