Le banche centrali hanno immesso quantità gigantesche di moneta per salvare il capitale. Ma ora la disoccupazione di massa ed il crollo della domanda mettono a rischio il capitalismo. Per lo sviluppo non servono nuovi debiti, ma nuove regole.1° maggio, festa del lavoro. Ricorrenza davvero amara, quest'anno, su cui vale la pena riflettere: per capire le ragioni della
disoccupazione dilagante dappertutto nel mondo; per individuare le relazioni tra questo fenomeno, la
crisi finanziaria e le
politiche economiche utilizzate per fronteggiarla nei diversi Paesi; per immaginare come si possa creare uno sviluppo economico che non consideri i disoccupati solo un incidentale e spesso fastidioso contrattempo di cui tener conto nella pianificazione della attività produttiva. E, soprattutto, in politica.
I fattori sono tanti. Le macchine, l'automazione, esaltano la produttività e riducono il fabbisogno di manodopera a volumi costanti: sono due secoli che ci si confronta con questo paradigma, che ha colpito prima l'agricoltura, poi l'industria ed ora anche i servizi, dopo l'introduzione di internet.
La globalizzazione ha enfatizzato i processi, mettendo in competizione sistemi economici e sociali non comparabili, con livelli di tutela economica, sociale ed ambientale estremamente diversi. Giocano vantaggi difficilmente contrastabili: la disponibilità di terre arabili, di risorse naturali, di capitale finanziario ed umano. Tutto questo è ben noto. Nel commercio internazionale, o ci si rende insostituibili per via della specializzazione produttiva o si è competitivi per via del basso prezzo.
La verità è, guardando ai corsi borsistici, che la crisi finanziaria sembrerebbe essere stata abbondantemente superata: anzi, c'è chi mette in guardia dalla formazione di una possibile bolla dei valori visto che si è spesso tornati al picco del 2008, mentre l'economia reale ristagna e la disoccupazione continua a crescere.
In Italia, da un anno a questa parte, sono stati persi 248 mila posti di lavoro: a marzo, la disoccupazione giovanile è arrivata al 38,4%, mentre nel complesso è dell'11,5%: quasi raddoppiata dal 2008, quando era del 6,7%. In Spagna la crisi ha avuto lo stesso effetto: è passata dall'11% al 27,2% del mese scorso, ed i disoccupati sono ormai oltre sei milioni. Un dato analogo si registra in Grecia, con un tasso di disoccupazione anch'esso al 27,2%, ed un livello giovanile addirittura del 60%: d'altra parte, il Paese è al sesto anno di recessione e nel 2013 il PIL ellenico dovrebbe cadere ancora del 4,5%.