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Dollaro e oro

Non è l’inizio della fine


Né vogliamo sminuire il fatto che l'oro, dal 2000 a oggi, abbia reso più dei bond lunghi, che a loro volta vengono spesso citati per stupire gli interlocutori che credono che l'investimento azionario abbia reso più di tutto il resto. Né vogliamo passare sotto silenzio che, dall'inizio di quest'anno, con tutto il rispetto per la mirabile performance della grande tecnologia, i titoli auriferi siano saliti ancora di più.

Nemmeno può essere negato che il dollaro, negli ultimi due mesi, sia riuscito a scendere non solo contro l'euro rinvigorito dal Recovery Fund, ma anche contro il real brasiliano, la moneta di un paese che si ama guardare con la massima preoccupazione.

Insomma, non ha senso negare l'evidenza e tantomeno rinnegare il sostegno all'investimento in oro che suggeriamo da tempo, ma è bene non fare confusione sulle cause della forza dell'oro e della debolezza del dollaro.

Nulla su questo mondo è eterno e non lo sarà nemmeno il dollaro come valuta di riserva, ma la notizia della fine del dominio del dollaro è quantomeno prematura. Tutti i paesi del mondo (con l'eccezione di quelli che emettono valute di riserva) devono mantenere riserve valutarie adeguate a pagare le loro importazioni.

Come sono regolati i prezzi negli scambi commerciali internazionali? Quasi sempre in dollari. Come si paga il petrolio che si importa? In valuta locale? No. In renminbi, euro o franchi svizzeri? No. Si paga in dollari, come si è continuato a fare anche dopo il 1971, quando l'America abbandonò la parità fissa tra dollaro e oro e si mise a stampare dollari e a svalutare aggressivamente. Chi ha riserve abbondanti, come la Cina, mantiene a riserva anche euro e yen, ma lo fa perché importa anche da Europa e Giappone, non perché pensa che l'euro salirà nei confronti del dollaro. La composizione delle riserve globali è del resto molto costante nel tempo. I dollari ne costituivano il 62.8 per cento nel 2008 e sono il 62 per cento oggi.
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