Strutturalmente, però, se c'è una cosa da rimarcare è come
l'America abbia retto bene al dollaro forte. Il disavanzo delle partite correnti degli Stati Uniti è meno del 2 per cento del pil, un terzo di quello che era arrivato a essere negli anni 2000.
Per
spiegare la debolezza del dollaro basta quindi il ridursi del differenziale di rendimento tra i governativi americani e quelli del resto del mondo. Questo differenziale un giorno tornerà a risalire, ma non nel breve termine. In questa fase, quindi, gli investimenti in dollari non dovranno essere in risk free e dovranno anzi cercare di massimizzare il rischio andando sull'azionario americano e sull'oro.
Venendo al breve, alcune grandi banche internazionali iniziano a consigliare il
passaggio da tecnologia a ciclici ed emergenti in vista dell'arrivo dei vaccini. Nessuno sa davvero quanto saranno efficaci (e privi di controindicazioni), ma certamente arriverà un momento, da novembre in avanti, in cui i mercati si lanceranno in grandi scommesse su una ripresa generalizzata dell'economia globale e punteranno su tutto quello che è rimasto indietro. Questo non penalizzerà necessariamente la tecnologia, ma la metterà comunque, per una fase, in secondo piano. Per il momento ci sembra sufficiente mantenere una composizione azionaria equilibrata.
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