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Tutti in classe. La ricreazione è finita



Un giovane su cinque non lavora e il 46% della popolazione si è fermata alla terza media; completa il quadretto la spesa per istruzione e formazione, inchiodata al 4,6% sul PIL del 2008, che indica quanto poco investa il nostro paese nell'istruzione. Questo emerge dai dati ISTAT pubblicati di recente. Livelli ben lontani dalla media europea che si colloca su valori più bassi per gli studenti che si fermano alla terza media (27,9%), mentre l'istruzione europea riesce a spuntare budget mediamente più alti, cioè prossimi al 5,2%. Sono dati decisamente negativi e sconfortanti che in valore assoluto hanno un'eco maggiore anche rispetto ai crudi numeri. Troppo lo scollamento rispetto alla media e troppa la differenza per risultati.

E' quindi naturale, se non proprio obbligata, una nuova tappa di riflessione sul ruolo dei governi che si sono succeduti negli anni e affrontato il problema senza mai giungere ad un risultato di minimale apprezzamento. Le difficoltà che sono state incontrate da ogni governo, in tema di pubblica istruzione per attuare una seria riforma scolastica, hanno sempre trovato un comune elemento e cioè l'estrema facilità con cui si riesce a strumentalizzare chi dell'istruzione dovrebbe beneficiarne, vale a dire gli studenti, per spingerli verso la protesta qualora se ne ravvisi la necessità. Se poi la protesta coinvolge anche le intere maestranze occupate nel settore, ecco che i sindacati si mobilitano provvedendo a strumentalizzare qualsiasi proposta non venga dalla loro parrocchia. La conseguenza è lo sfilacciamento della funzione didattica e formativa della scuola e se la cosa diviene sistematica, oltrechè persistente, eccoci a discutere nella palude.

Ma non ci sarebbe nemmeno bisogno di leggere i dati dell'ISTAT o quelli dell'OCSE per capire che in Italia il sistema scolatico è in disarmo. E’ ridicolo. L'intero sistema continua ad aggrapparsi al mantenimento di strumenti e metodologie didattiche giudicate dalla storia. Cioè vecchie e sorpassate. Ma tant'è; vince lo spirito conservatore e stenta a diffondersi il coraggio di riconsolidare l'autorevolezza e l'esercizio di una funzione, quella didatiico-educativa, che si è sbriciolata nell'ultimo mezzo secolo ed evaporata sotto l'effetto delle ultime crisi economiche.

E' ridicolo anche parlare di spocchiosa autoreferenza del sistema ISTRUZIONE a difesa di uno status che non c'è più; si perderebbe la percezione della realtà e si coprirebbero le grosse lacune che l'intero sistema scolastico a tutto tondo mediamente presenta, a partire dai dirigenti per finire al personale tutto. Ma c'è di più; tutto questo porta al rovesciamento di un intero sistema che non vede più protagonisti gli studenti, ma il personale, o gran parte di esso, che di fatto occupa la scena e polarizza l'attenzione maggiore. Una fabbrica di posti di lavoro, più che un luogo di formazione per le generazioni future, con l'intento principale di trarre profitto dalle attività scolastiche, i cosiddetti progetti, senza il coinvolgimento, se non marginale e indifferente, degli studenti.

Più consono alla funzione del sistema sarebbe invece l'innesco di un virtuoso processo di riqualificazione della spesa, considerando sia la finalità didattica che il miglioramento qualitativo del personale, compreso un più dignitoso trattamento economico ed un sistema premiante in funzione di accertate capacità. Per chi ancora l'intende, si chiama meritocrazia. E invece impera il motto: maggior guadagno con il minore impegno.

Vogliamo poi parlare del grado di soddisfazione di quella parte del personale, dirigenti, docenti e tecnico-amministrativo, che invece sarebbe disposta a condividere intenti, programmi e buon senso? Ci sarebbe da stendere un pietoso velo sugli effetti deleteri del lassismo e menefreghismo di taluni colleghi e quanto ciò agisca negativamente su questi ultimi. Ma non apriamo questa porta... è meglio.
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