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Le divergenze parallele di un progetto bollito


Sarebbe interessante sapere se la politica economica della Merkel sia effettivamente di tipo rigorista, nel senso che sarebbe auspicabile per gli Stati Membri perseguire a tutti costi il risanamento dei propri bilanci pubblici, oppure sia di tipo difensivista, nel senso che la Cancelliera tedesca voglia a tutti costi impedire il contatto tra lo stato di salute delle finanze tedesche con quello terminale di parecchi Stati dell’Unione.

Negli ultimi consessi internazionali la Merkel è stata letteralmente accerchiata per convincerla a non proseguire su questa strada, ma l’intransigente Angela sembra non mollare, rigettando l’idea degli Eurobond e qualsiasi altra politica di integrazione economica tesa a diluire in egual misura, alla stregua dei vasi comunicanti, la palla al piede dell’eccessivo indebitamento. Troppo alto, in effetti, il rischio di zavorrare l’efficiente macchina tedesca e mettere in crisi il modello di benessere teutonico.

Il dubbio è che la Merkel potrebbe avere ragione, contabilmente parlando e aldilà di ogni ragionevole dubbio, se si guarda al collasso di BANKIA, attualmente la quarta banca spagnola, nata non più tardi di due anni fa dall’aggregazione di sette casse di risparmio spagnole su disposizione governativa della Banca Centrale spagnola, all’interno di un più ampio piano di ristrutturazione. Ebbene, Bankia dopo due anni è a rischio di fallimento e il governo spagnolo ha deciso una serie di interventi, ma se prima bastavano solo 7 miliardi, adesso ce ne vogliono 19. È questa l'entità della cifra, di per sé mostruosa, che il Governo spagnolo dovrà sborsare per il salvataggio di Bankia.
Oltre all'entità dell'esborso, quello che sorprende è l’irrefrenabile aumento della cifra a sollevare forti dubbi su quello potrebbe rivelarsi una gestione allegra, per non dire “taroccata” dei bilanci della Banca, tra le cui voci scompare anche l’utile di 300 milioni di euro comunicato poche settimane orsono.

Il punto controverso discusso tra Francoforte e il resto d’Europa, alla luce del crack di Bankia, potrebbe avere una nuova chiave di lettura nel considerare il rischio che questa nuova difficoltà avrà sul circuito della fiducia internazionale, che è uno degli ingredienti chiave della crisi del credito; gli artifizi contabili, abilmente attuati dalla Grecia nel corso degli ultimi dieci anni e magistralmente perseguiti da una serie di banche di prim’ordine, riaccenderebbero lo scetticismo istituzionale con drammatica progressione anche a livello di sovranità nazionale.

E come dare torto alla Germania se ad abbassare il livello di fiducia internazionale hanno contribuito gli Stati che ora chiedono aiuto? Anche se entità sovranazionali, come il Fondo Monetario Internazionale, dispongono controlli sui conti dei singoli Stati, nessuno può mettere la mano sul fuoco sulla effettiva correttezza dei conti pubblici di Paesi con l’acqua alla gola. Il fallimento di Bankia è scaturito dalle forti difficoltà di alcune grosse casse di risparmio spagnole, come quella di Madrid, a scapito di qualche altra cassa, più piccola, che magari da sola avrebbe retto meglio l’urto della crisi immobiliare, che ha fatto avvitare l’intera struttura economica spagnola.

Per mutua induzione, le stesse considerazioni si potrebbero estendere ad alcuni Stati dell’area Euro, più virtuosi di altri, che non vedrebbero di buon occhio un riallineamento verso il basso del proprio tenore di vita per farsi carico degli eccessi debitori e delle inefficienze di altri, che per anni hanno viaggiato a livelli superiori alle proprie disponibilità. In fin dei conti è l’opacità di alcuni conti pubblici e come questi sono gestiti a creare disappunto e malcontento all’interno dell’Unione; divergenze parallele secondo le quali si è costretti a viaggiare controvoglia, rimandando il più avanti possibile la resa dei conti di un progetto mai decollato e già bollito.
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