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Andreotti guidò l'Italia verso un destino comune

35 anni dopo il Governo di solidarietà nazionale, ci accorgiamo come che le istituzioni e le riforme varate allora hanno creato un comune sentire, che oggi va rinnovato e rafforzato.

Giulio Andreotti ci ha lasciato. Questa volta, per sempre. Sarebbe sciocco ricordarlo per come veniva raffigurato nelle vignette dai suoi detrattori: era l'emblema del potere. Il potere vero, quello di una volta, che coniugava l'alta amministrazione, le Forze armate, le industrie e delle banche pubbliche, le relazioni elettorali con il suo collegio tradizionale, poco a sud di Roma, Fiuggi e la Ciociaria. Andreotti era rappresentato con la sua stessa ombra proiettata per terra, l'unica apparenza di una persona altrimenti invisibile: dietro ogni mistero mai svelato, dietro ogni complotto ci sarebbe stato lui, sempre lui, Belzebù. Era una sinistra caricatura delle sue sembianze, con una gobba esagerata e le orecchie tagliate orizzontalmente. E neppure vale la pena limitarsi agli ultimi anni, quelli più amari, trascorsi nella partecipazione ad un processo in cui era imputato di contiguità mafiosa, da cui fu assolto. Fu comunque l'eclisse: lo ricordo, alla bouvette del Senato, mentre sorbiva un cappuccino, da solo. Prima sarebbe stato impossibile anche solo intravederlo, circondato sempre com'era da una spessa coltre di postulanti e colleghi.

La carriera politica fu lunghissima e strepitosa, cominciata con De Gasperi come giovanissimo Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Ministro innumerevoli volte, altrettante Presidente del Consiglio. Pragmatico, di un'ironia raffinata e mai sferzante, non offendeva mai l'interlocutore, perché sapeva che prima o poi le strade si sarebbero nuovamente incrociate. Sembrava che sapesse sempre tutto di tutti, tanto conosceva i dettagli più minuti: non ricordava, raccontava di sé stesso, già nella Storia.

Andreotti ci ha lasciato appena una settimana dopo il giuramento del Governo di Enrico Letta che mette insieme, dopo vent'anni di insanabile ed esacerbata conflittualità bipolare, il centrosinistra ed il centrodestra in una grande coalizione che cerca di affrontare la crisi economica più grave dal dopoguerra, ed a 35 anni dal Governo di solidarietà nazionale guidato da lui stesso, che riuscì a mettere per la prima volta insieme, nella stessa maggioranza, la Democrazia Cristiana ed il Partito Comunista, per affrontare nel '78 la più grave crisi politico-sociale che avesse mai colpito la Repubblica. Il terrorismo insanguinava le strade, le scuole e le fabbriche e lo stesso Aldo Moro, che aveva fortemente voluto quella convergenza, venne rapito dalle Brigate Rosse il giorno stesso in cui Andreotti si presentava alle Camere per ottenere la fiducia.

A ben vedere, l'Italia è rimasta ferma alla impostazione di allora, alle riforme economico-sociali varate dal Governo di solidarietà nazionale presieduto da Andreotti: dalla istituzione del Servizio Sanitario Nazionale alla regionalizzazione del trasporto pubblico locale, dalla riforma del diritto dei suoli alla edilizia residenziale pubblica. Tranne l'equo canone, introdotto per calmierare gli affitti delle abitazioni sul libero mercato, che fu una forzatura di vita breve ma dagli effetti profondissimi, praticamente ben poco è cambiato. La sinistra comunista propugnava la strategia di estendere l'intervento pubblico in ogni settore della vita economica e sociale, ma la gestione del potere politico ed amministrativo che ne conseguiva era tutta democristiana.

Andreotti seppe sfruttare la forza e le idee del PCI per rafforzare la DC: era questa la sua geniale tessitura del potere, che comunque consolidava i nessi di solidarietà sociale e territoriale nel Paese, che così acquisiva ancoraggi forti, radicamenti profondi e convinzioni comuni. Valori persi con l'affermarsi dell'individualismo negli anni novanta, con la presunzione egoistica dell'autosufficienza dei Territori più sviluppati: miti sfumati con la crisi.

Abbiamo ancora bisogno gli uni degli altri, di una mediazione politica forte in grado di far convergere gli sforzi verso un destino comune, ora come allora. Con ironia, come faceva Andreotti: perché la Società non è la politica, fatta di vincitori e vinti, ma di uomini costretti a cooperare. Volenti o nolenti.

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