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Nel grande gioco, l’Italia ce la fa

Troppo grande per essere salvata. Troppo importante per essere abbandonata

Il vento è cambiato.

Il grande gioco internazionale che coinvolge l'Italia, il suo destino ed il suo ruolo, non si decide più solo a Bruxelles, in Germania, e soprattutto non c'è più Barak Obama, il Presidente democratico statunitense che non aveva nessuna simpatia per Silvio Berlusconi, il Presidente del Consiglio italiano amicissimo del suo predecessore repubblicano George W. Bush.

Ed è finita pure l'era del Premier britannico David Cameron, il conservatore che spalleggiava la politica decisa da Hillary Clinton, il Segretario di Stato americano che tifava a favore delle sollevazioni popolari in Medioriente. Anche il neo Presidente francese Emmanuel Macron ha dovuto ammettere di recente, bontà sua, che l'intervento militare in Libia del suo predecessore, Nicolas Sarkozy, ha creato solo danni enormi.

A Bruxelles sono nei guai. Continuano a fare finta che il problema principale sia rappresentato dai debiti pubblici, mentre sanno bene che il progetto di una nuova fase di sovranità europea condivisa si è ormai afflosciato senza rimedio.

Il disegno politico europeo non serve più a nessuno, tanto meno agli Usa, perché il confronto globale con la Russia, sempre teso, si gioca sullo scacchiere mediorientale, tra Siria, Libano, Iran, Egitto. Le questioni della Ucraina e della Crimea sono davvero poca cosa: è tutto congelato. Il vero scontro in corso, dove Usa e Russia giocano il rispettivo ruolo di influenza globale, è tra i musulmani sunniti guidati dalla Arabia Saudita e quelli sciiti guidati dall'Iran. La Turchia, a sua volta, coltiva un disegno da potenza regionale, colmando il vuoto lasciato dall'eclisse egiziana, dopo la defenestrazione di Hosni Mubarak e l'affermazione dei Fratelli Musulmani sostenuti dalla stessa Turchia e dal Qatar.

Le relazioni tra gli Usa e la Cina abbracciano l'intero continente asiatico, con punti di forte tensione in Corea del Nord e nel Myanmar, la ex Birmania, dove il conflitto etnico religioso tra buddisti e musulmani nasconde un risvolto geopolitico assai delicato, visto che un buon rapporto con la Cina, anch'essa tradizionalmente buddista, spianerebbe la strada ad un accesso diretto di quest'ultima all'Oceano indiano: una eventualità che è fumo agli occhi per chiunque ne voglia contenere l'espansionismo.

Per quanto riguarda il futuro della Unione europea, intanto si discute della Brexit. Le relazioni con la Gran Bretagna sono ai minimi storici: Bruxelles sta usando ogni strumento per rendere impossibile ogni accordo bonario. Ora sta strumentalizzando anche le storiche tensioni tra l'Irlanda del Nord, che fa parte del Regno Unito, e la Repubblica d'Irlanda, che invece è uno Stato indipendente, per soffiare sul fuoco. Visto che gli accordi del Venerdì Santo, su cui si fonda la ritrovata pace irlandese tra cattolici e protestanti, prevedono che tra le due entità territoriali non ci devono essere confini inviolabili, ogni passo in avanti nella Brexit che mantenga aperti e fluidi i rapporti tra le due Irlande, conferendo un beneficio in campo europeo all'Irlanda del nord, scatena le rivendicazioni della Scozia e della Città di Londra.

Bruxelles mira a scassare i rapporti interni alla Gran Bretagna: una Brexit non traumatica, con un accesso non penalizzante all'area doganale europea se non al mercato interno, darebbe la stura alla disgregazione della Unione.

La Francia, ora, non ci sta più a fare la parte della scolaretta di fronte alla potenza economica tedesca, e cerca di rimediare facendo valere la sua libertà di manovra in campo internazionale, il suo seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell'Onu, il suo potenziale atomico.

La Cina vuole tenersi aperta la porta dell'Europa, e non può contare sulla Gran Bretagna, in uscita. La Grecia è poca cosa: deve puntare all'Italia. Non è questione della ferrovia che collegherà la Cina alla Spagna, dopo aver attraversato la Russia, la Polonia, la Germania e la Francia. Se l'Italia divenisse una colonia economica e finanziaria di Germania e Francia, la Cina avrebbe ben poche chance di mettere radici salde in Europa. Gli Usa, a loro volta, hanno sempre visto nell'alleanza con l'Italia un modo per bilanciare l'espansionismo francese e tedesco. Togliere di mezzo l'Italia con la crisi finanziaria del 2010-2011, visto che con Berlusconi faceva da ponte con la Russia di Putin, con l'Egitto di Mubarak e con la Libia di Gheddafi, si è rivelato un grossolano errore.

Anche l'Inghilterra non ha alcun interesse, ora, a continuare a mettere in difficoltà l'Italia, anche indirettamente, incrinando i nostri rapporti con l'India, l'Egitto e la Libia. Lo stesso generale Haftar, che pure in passato sembrava essere fortemente sostenuto da Mosca, non sembra più godere della medesima credibilità.

Gli Usa si stanno preparando ad un nuovo periodo di espansione economica attraverso una politica di bilancio aggressiva, tagliando le tasse alle imprese ed alle famiglie. La severità del Fiscal Compact deciso a livello europeo ha messo il piombo alle economie del continente, mentre la vigilanza bancaria accentrata a Francoforte ha messo in gravi difficoltà moltissimi istituti, soprattutto quelli italiani.

I movimenti antieuropei si sono diffusi a macchia d'olio, ed anche in Germania lo stallo politico continua, ad oltre due mesi dalle elezioni.

Il quadro geopolitico mondiale è diventato estremamente precario: nessuno si azzarderebbe più a scommettere contro l'Italia ed il suo debito pubblico, perché farebbe detonare una crisi globale. In tanti, al contrario, hanno bisogno dell'Italia. Usa, Russia e Cina non hanno alcun interesse a che l'Italia si trasformi davvero in una colonia politica, economica e finanziaria dell'asse franco-tedesco: tutte e tre, allo stesso modo, hanno interesse ad una Italia stabile, indipendente ed in piena salute.

Troppo grande per essere salvata. Troppo importante per essere abbandonata.

Nel grande gioco, l'Italia ce la fa.

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