IL CASO DELLE POPOLARI VENETENegli anni della crisi, emisero consistenti quote di capitale, sulla base delle richieste della Vigilanza europea, spesso a fronte di altrettanti finanziamenti: erano le cosiddette
operazioni baciate.
I sottoscrittori erano convinti di essere esenti da perdite, perché le Banche avevano un Fondo per il riacquisto delle azioni, che fungeva da mantice: all'inizio, bastavano pochi giorni per vedersi restituito il capitale versato. Poi, quando le cose si sono messe male,
è diventato impossibile vendere le azioni, che non erano quotate sul mercato.
Inoltre, erano state emesse anche obbligazioni subordinate, sempre sottoscritte generalmente dai correntisti.
Quando si è proceduto alla loro liquidazione coatta amministrativa, nel giugno del 2017,
sono stati penalizzati sia gli azionisti, spesso solo correntisti e per di più finanziati a tal fine dalle stesse banche,
che gli obbligazionisti. Solo questi ultimi sono stati ammessi al parziale ristoro delle perdite, dovendo provare che era stata carpita la loro buona fede.
Lo Stato ci ha messo un bel po' di denari:
Banca Intesa ha comprato per 1 euro le due Good Bank, in pratica i depositi ed i crediti in bonis. I crediti non performanti sono stati attribuiti alla SGA, una società del Tesoro specializzata nella gestione di questa attività.
Sotto il profilo finanziario, le misure adottate dal Governo per garantire la continuità dell'accesso al credito da parte delle famiglie e delle imprese, nonché per la gestione dei processi di ristrutturazione delle banche in liquidazione consistono in
iniezioni di liquidità pari a 4,8 miliardi di euro. A questa cifra
si aggiungono circa 400 milioni, quale eventuale costo da sostenere per le garanzie prestate dallo Stato sugli impegni delle banche in liquidazione,
per un ammontare massimo di circa 12 miliardi di euro.
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