Naturalmente, in tanti hanno cominciato a criticare la sortita di Trump:
non è stato forse lui stesso a suggerire al Presidente della Federal Reserve di smetterla di alzare i tassi di interesse per non nuocere all'economia americana, visto che il primo effetto è un aumento del valore del dollaro sui mercati valutari? E poi, tassi di interesse più alti costano un bel po' di quattrini in più alle imprese ed ai cittadini americani. Per non parlare poi del danno che subiscono i debitori in dollari dei Paesi emergenti. Insomma, Draghi avrebbe preannunciato la medesima cautela che Trump ha vibratamente chiesto alla Fed.
La verità è che, in questi anni passati,
la politica monetaria eccezionalmente accomodante della BCE, che avrebbe dovuto portare i tassi di inflazione vicino al 2%,
è stata un fiasco clamoroso. Nonostante i tassi a zero sulle operazioni di rifinanziamento principale e quelli negativi dello 0,40% sui depositi di liquidità ulteriori rispetto alla riserva obbligatoria, e nonostante gli oltre 2 trilioni di euro di liquidità immessa acquistando titoli del debito pubblico con il Qe, l'inflazione non si è mai schiodata dall'1%. Solo in Germania, dove l'economia non ha mai smesso di tirare, i prezzi tendono al 2%.
Va ricordato poi che, nel recente passato, l'
effetto di svalutazione dell'euro rispetto al dollaro, di oltre il 20%, si ebbe immediatamente a ridosso dell'annuncio del Qe da parte di Draghi, a Davos, a gennaio 2015: quando il programma iniziò, nel mese di marzo, si era arrivati quasi alla parità tra le due monete.
Non c'è dubbio che
neppure Draghi, come già il suo predecessore Trichet, è riuscito nella Exit Strategy dalla crisi. La conclusione del Qe, a dicembre 2018, doveva segnare la fine delle politiche monetarie eccezionalmente accomodanti, anche se i tassi di interesse sarebbero rimasti fermi allo zero per ancora per molti mesi. Poi c'è stato l'annuncio di una nuova
TLtro, per favorire il credito bancario.
Stavolta, dopo l'intervento di Draghi a Coimbra si aprono quattro fronti:
- quello con gli Usa, che non possono tollerare che l'Eurozona, che è già in attivo commerciale strutturale con gli Usa, possa svalutare la propria divisa favorendo indebitamente il proprio export. L'Unione europea, sulla base di una impostazione mercantilistica dei rapporti internazionali, esporta disoccupazione e deflazione verso il resto del mondo: dovrebbe rivalutare l'euro, non svalutarlo;
- quello relativo all'efficacia della politica monetaria e della vigilanza bancaria prudenziale della BCE: l'inflazione non è mai ripartita, mentre il credito ai privati, ad esempio in Italia, è diminuito di circa 200 miliardi di euro.
- quello della efficacia della politica di bilancio dall'Eurozona: il Fiscal Compact impone agli Stati il pareggio strutturale del bilancio e la riduzione del rapporto debito/pil, senza tener conto delle circostanze avverse se non con clausole di flessibilità poco incisiva.
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