Gli investimenti nei Fondi, come nelle Imprese quotate, non sono garantiti: ma incombono comunque obblighi di trasparenza molto stringenti nei confronti del Mercato: devono informare subito circa andamenti gestori non in linea con le previsioni, come i "profit warning". Anche le Banche quotate devono ovviamente fare le medesime comunicazioni al Mercato, a tutela dei loro azionisti ed obbligazionisti: il rischio degli investitori è identico, sia che comprino in Borsa i titoli ovvero le obbligazioni di società industriali che di Banche. E' comunque prescritto che, nel caso di perdite per le Banche, il ripiano è a carico degli azionisti e degli obbligazionisti secondo una progressione molto articolata.
Fin qui, va ancora tutto bene. Il sistema è chiaro.
Il punto è un altro:
quando ci sono crisi profonde e prolungate, le Banche sono restie ad assumere rischi eccessivi. E ne hanno ben ragione: in Borsa, si possono vendere i titoli azionari o cedere le obbligazioni in una frazione di secondo, magari perdendoci un poco, quando la situazione sembra volgere al peggio per una Società quotata, ovvero per il comparto.
Non è affatto lo stesso
quando si eroga il credito ad una impresa: chiedere il rientro significa il più delle volte fare fallire l'impresa. Anche mettere il credito tra quelli considerati "Unlikely to pay", tra gli Incagli o ancora le Sofferenze comporta l'accantonamento di fondi a copertura. Siamo giunti al punto cruciale: tanto più la vigilanza prudenziale è diventata severa, tanto più le
Banche sono diventate prudenti. Talmente
prudenti da rinunciare ad erogare credito a favore di impieghi più sicuri, come gli investimenti nel debito pubblico. Alla fine, vuoi o non vuoi, un default del debito sovrano è un evento possibile ma assi raro. E poi, alla fine, gli Stati prima di fare default fanno di tutto: aumentano le tasse a manetta e tagliano le spese a zero pur di fare fronte agli impegni.
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