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In lode del Keynesismo, quello vero

Le crisi sistemiche sono il frutto delle politiche monetariste

La questione è ideologica.

Le politiche keynesiane si fondano sul presupposto che la disoccupazione derivi da una domanda aggregata insufficiente, che a sua volta determina la stagnazione economica. Nessun operatore privato ha singolarmente la forza e la voglia di assumersi il rischio di aumentare i propri investimenti in una situazione del genere: il rischio di fallire è troppo elevato. Serve dunque un "operatore collettivo", lo Stato, che faccia investimenti infrastrutturali: non solo con questa spesa finanziata in deficit si assorbe la disoccupazione e si aumenta la domanda interna che va ad attivare la produzione delle imprese, ma il rischio di fallimento dello Stato è nullo per definizione: nello schema tradizionale, infatti, la Banca centrale stampa tutta la moneta necessaria per soddisfare le richieste di rimborso dei creditori dello Stato. In pratica, si sostituisce ai privati sottoscrivendo direttamente il debito pubblico.

Gli inconvenienti del sistema keynesiano sono due: il potere politico prevale sulle decisioni private di allocazione delle risorse; l'eccesso di spesa pubblica e di moneta immessa a tal fine dalle banche centrali determina inflazione, erodendo i risparmi.

Il monetarismo ha ribaltato la polarità delle decisioni e delle responsabilità: per garantire la stabilità del valore della moneta, le Banche centrali devono essere indipendenti dagli Stati e non devono finanziare il loro deficit; spetta così alla politica monetaria, con la determinazione dei tassi e la creazione di liquidità, creare le condizioni affinché il sistema economico possa crescere liberamente ed in modo equilibrato, senza dover dipendere dalle scelte pubbliche.

In Europa, con il Trattato di Maastricht del '92 e poi con il Fiscal Compact del 2012, i principi del monetarismo sono stati dominanti. L'Italia, con il "divorzio" tra Tesoro e Banca d'Italia aveva già anticipato di un decennio questa strategia.

Gli effetti recessivi della crisi americana del 2008 e quella dell'eurozona del 2010-2012 hanno indotto le rispettive Banche centrali, Fed e Bce, ad adottare politiche monetarie estremamente accomodanti con tassi di interesse tendenti allo zero e ad immettere enormi quantità di moneta per sollecitare nuovi investimenti.
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