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Ritorno a Maastricht, ma in manette

L'infinita tristezza di un nuovo, odioso Patto di Stabilità

Aveva ragione da vendere, Giuseppe Guarino, quando affermava che i regolamenti europei in materia di politica di bilancio erano in netto contrasto con i principi fondamentali della Unione Europea, ed aveva visto lungo Guido Carli che aveva contrattato duramente quelle condizioni tendenziali di aggiustamento del debito pubblico che avrebbero consentito all'Italia di aderire al Trattato di Maastricht senza suicidarsi dal punto di vista economico e sociale.

Mancano pochi mesi all'anniversario del Trentennale del Trattato di Maastricht.

Entrò in vigore il 1° novembre 1993, ha segnato la svolta ordoliberista dell'Unione europea: i parametri inderogabili per i bilanci pubblici, con il tetto del 3% al deficit e quello del 60% al debito, ed il divieto di finanziamento degli Stati da parte delle Banche centrali hanno rappresentato la prima gabbia, poi resa sempre più stretta con il Patto di Stabilità e Crescita firmato nel 1997, che imponeva condizioni di maggiore severità per i Paesi che avrebbero adottato l'euro.

Ulteriori integrazioni seguirono nel 2005, ma il Punto Finale fu raggiunto con il Trattato istitutivo del Fiscal Compact, varato come accordo intergovernativo ed entrato in vigore il 1° gennaio 2013, giusto dieci anni fa.

Per chi non lo ricordasse, prevede che gli Stati aderenti raggiungano il pareggio strutturale del bilancio attraverso una serie di aggiustamenti annuali, volti a conseguire gli obiettivi a medio termine. Nel contempo, il rapporto debito/PIL deve essere ridotto, abbattendo al ritmo del 5% all'anno la somma eccedente il 60%. I Paesi maggiormente indebitati erano quindi sottoposti alla maggiore pressione di risanamento.

Nel 2019, l'ultimo anno in cui le regole del Fiscal Compact sono state operative, prima della sospensione dovuta alla crisi sanitaria che aveva provocato una generalizzata condizione macroeconomica avversa, l'Italia aveva quasi raggiunto una condizione di pareggio strutturale, con un deficit congiunturale dell'1,7%.
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