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Serie A, sette squadre senza sponsor: le ragioni della crisi finanziaria del campionato italiano

Le ragioni della crisi finanziaria del campionato italiano

Economia, Finanza, Sport
Serie A, sette squadre senza sponsor: le ragioni della crisi finanziaria del campionato italiano
Verso la metà degli anni '90 la Serie A si fregiava dell'appellativo di "campionato più bello del mondo", ma mentre ci raccontavamo questa favola i principali club europei si stavano attrezzando per il futuro. E oggi, vent'anni dopo, ci svegliamo con sette squadre che, alla prima giornata della Serie A 2014-2015, si presentano con una maglia priva di sponsor.

Roma, Lazio, Fiorentina, Genoa, Sampdoria, Palermo e Cesena hanno infatti maglie senza alcun riferimento commerciale: proprio come quelle di Athletic Bilbao e Barcellona qualche tempo fa, con la differenza che per i due club spagnoli si trattava di un vanto, quello di non voler sporcare le loro divise con "volgari pubblicità". Sette squadre senza sponsor sono un record per la Serie A (e non solo) e mettono in evidenza il momento di grande difficoltà del nostro calcio, che ha alla base una forte crisi di natura economica.

I nostri club hanno infatti bassi fatturati, il che si traduce in scarsa liquidità e nella difficoltà a fare investimenti di lungo termine: su squadra, giocatori, stadi, marketing. I bassi fatturati delle nostre squadre sono certificati dal report FootBall Money League di Deloitte, che nella top ten delle squadre con i maggiori ricavi vede solo la Juventus e il Milan, piazzate rispettivamente al nono e al decimo posto, come si può vedere dal grafico qui sotto:

Ricavi club

Il grafico è molto esplicativo e mette in evidenza tutte le debolezze dei club italiani: mentre i ricavi dai diritti TV sono in linea con quelli dei principali competitor, siamo molto indietro con i ricavi commerciali e ancora di più con quelli da stadio (matchday). Uno degli elementi di debolezza del nostro calcio sono in effetti gli stadi, strutture troppo spesso antiquate (fanno eccezione i più recenti Juventus Stadium e il nuovo Friuli di Udine) che non sono in grado di generare ricavi.

I ricavi del matchday comprendono infatti la spesa totale del tifoso allo stadio: il costo del biglietto, ma anche di tutti gli altri servizi (come ad esempio la ristorazione). Ebbene, l'arretratezza delle nostre strutture fa sì che la spesa dello spettatore italiano sia rappresentata quasi esclusivamente dal prezzo del biglietto: se si elimina quest'ultimo costo dal calcolo del matchday, il tifoso italiano spende in media 3,5 euro a partita contro i circa 20 euro degli spettatori inglesi e tedeschi.

La Juventus, che si è dotata di uno stadio di proprietà e di recente costruzione, è la prima squadra italiana in quanto a ricavi da matchday (la quattordicesima in Europa) e può in questo modo sfruttare lo stadio anche in occasioni diverse dalle partite ufficiali. Un altro limite dei club italiani è infatti l'utilizzo dello stadio limitato quasi esclusivamente al matchday, legato alla diffusione di stadi poco moderni e non di proprietà.

Per molte squadre europee lo stadio di proprietà è divenuto invece uno strumento strategico, che aumenta i ricavi da matchday, ma anche da utilizzare per iniziative di marketing che danno visibilità alla struttura, al brand della squadra e fanno riavvicinare le persone allo stadio. Anche la Juventus è stata attiva in iniziative di questo tipo, una delle ultime è stata "Allo Stadio con PokerStars", in cui i partecipanti ad alcuni tornei gratuiti di poker online giocati su PokerStars potevano vincere il biglietto per assistere ad una partita di Serie A della Juventus, con la possibilità di fare un tour guidato dello Juventus Stadium e conoscere i giocatori.

Per quanto riguarda i ricavi commerciali, invece, questi comprendono tra le altre voci gli sponsor e il merchandising. L'impoverimento economico del nostro campionato ha ridotto l'arrivo di grandi giocatori e di conseguenza l'interesse dei tifosi internazionali e pure degli investitori. Questo fa sì che sette squadre italiane siano senza sponsor sulla maglia, ma anche che uno stesso sponsor investa più su altri campionati. Adidas, ad esempio, ha con la Juventus un accordo di sei anni per 23, 25 milioni di euro a stagione, mentre con il Manchester l'accordo è di dieci anni e 94 milioni a stagione.

E se gli sponsor non investono sul nostro campionato, i tifosi non sono da meno: non solo gli stadi italiani hanno bassi tassi di riempimento, ma anche i ricavi da merchandising sono troppo bassi. Se guardiamo alle maglie vendute, la Serie A è fanalino di coda in Europa con 1,18 milioni di unità vendute, contro i 2,6 milioni della media europea. Insomma, la mancanza di sponsor sulle maglie di sette squadre è solo la punta dell'iceberg di una forte crisi economica del nostro calcio, con i nostri club che da troppo tempo non riescono ad essere competitivi nelle coppe europee.
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