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Clima, studio BCG-WEF: "Ridurre emissioni del 7% ogni anno fino al 2030"

Oltre la metà dei circa 4mila miliardi di dollari necessari annualmente per contrastare il cambiamento climatico non è stata finanziata

Clima, Economia
Clima, studio BCG-WEF: "Ridurre emissioni del 7% ogni anno fino al 2030"
(Teleborsa) - "La COP28 segna una tappa fondamentale nella realizzazione degli obiettivi di Parigi. Imprese e istituzioni hanno dato messaggi chiari ai negoziatori attraverso i progressi dell'Action Agenda, allo stesso tempo i governi hanno inviato un chiaro segnale alle imprese firmando l'accordo. Accordo che avvicina il consenso politico alla scienza, in particolare data la necessità di aumentare rapidamente le energie rinnovabili e di abbandonare i combustibili fossili. Andando avanti, per mantenere le promesse fatte a COP28, i governi e il settore privato dovranno tradurre gli impegni presi in politiche di sostegno, maggiore ambizione e azioni celeri in vista della prossima edizione a Baku". È quanto ha affermato Rich Lesser, Global Chair di BCG tra i delegati a COP, all'indomani di un accordo che potrebbe definirsi storico.

L'edizione appena conclusa di COP porta a una riflessione su quanto fatto per raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi. Il nuovo studio di BCG e World Economic Forum (WEF) "The State of Climate Action", pubblicato in vista del prossimo appuntamento per l'economia mondiale a Davos – di cui Lesser è Chief Advisor per l'Alliance of Ceo Climate Leaders – fotografa una situazione molto complessa. Per affrontare e superare la sfida del riscaldamento globale, il cambiamento richiesto è urgente e massiccio: le emissioni globali devono diminuire del 7% ogni anno fino al 2030 per mantenere la speranza di contenere il riscaldamento medio globale al di sotto di 1,5°C, più dell'impatto generato dalla pandemia di Covid-19. Ma oggi stanno aumentando dell'1,5% all'anno. Ogni decimo di grado al di sopra di questi 1,5°C comporterà un costo crescente per gli ecosistemi, il benessere umano e le economie. Sebbene gli sforzi di adattamento e resilienza siano necessari per contrastare questi rischi, diventeranno più costosi e meno efficaci ad ogni incremento della temperatura. L'inazione costerebbe infatti tra gli 11 e i 14 trilioni di dollari all'anno, nettamente di più rispetto al costo dell'azione climatica, per cui servono circa 4mila miliardi di dollari all'anno.

L'azione climatica internazionale – rileva lo studio – è attualmente insufficiente su tutti i fronti: gli impegni nazionali di neutralità climatica entro il 2050 riguardano solo il 35% delle emissioni e la quota di Paesi con politiche sufficientemente efficaci per implementare queste azioni si attesta al 7%. Alcune di queste politiche rischiano di essere addirittura ridimensionate, come evidenziato dal piano del Regno Unito di concedere oltre 100 nuove licenze per l'estrazione di petrolio e gas e dall'incremento record della produzione di petrolio degli Stati Uniti nel 2023.

Indubbiamente il cambiamento climatico è una sfida condivisa, ma alcuni Paesi hanno una responsabilità maggiore rispetto ad altri: per esempio dei 10 Paesi responsabili di circa il 65% delle attuali emissioni globali, 5 (Cina, India, Russia, Indonesia e Iran) stanno seguendo una traiettoria che supererà il percorso verso gli 1,5° di 300 gigatonnellate al 2050. Ma, insieme alla Cina, anche UE, USA hanno grosse responsabilità perché portano sulle spalle il peso dell'accumulo di gas serra nell'atmosfera degli anni passati.

Seppure i progressi degli ultimi anni nel settore privato siano stati positivi, la strada da fare è ancora lunga: ad oggi meno del 20% delle principali aziende del mondo ha obiettivi allineati alla missione 1,5°C e meno del 10% ha piani di transizione credibili e trasparenti, mentre il 40% non ha ancora intrapreso impegni di neutralità climatica. Nonostante alcune dovute differenze, si tratta di una fotografia valida per tutti i settori.

Tutte le tecnologie necessarie per raggiungere le zero emissioni esistono già, anche se con livelli di maturità molto diversi. Le tecnologie green economicamente attrattive – come i veicoli elettrici e l'energia rinnovabile – sono solo il 55%, mentre altre tecnologie utili a una decarbonizzazione profonda (come idrogeno e CCUS) stanno crescendo lentamente. Per recuperare il ritardo, l'innovazione deve accelerare a livelli quasi senza precedenti. Non è una missione impossibile se pensiamo che i vaccini per il Covid-19 sono stati sviluppati e introdotti in meno di un decimo del tempo solito.

Dal report emerge inoltre che, nel 2022, più della metà dei circa 4mila miliardi di dollari necessari annualmente per contrastare il cambiamento climatico non è stata finanziata. Finora il finanziamento pubblico è stato insufficiente in tutti i settori e gli investitori sembrano particolarmente restii a finanziare tecnologie climatiche che presentano elevata incertezza; ciò comporta mancanza di finanziamenti soprattutto per le tecnologie in fase iniziale come bioenergia, idrogeno, SAF, CCUS e stoccaggio delle batterie, che insieme hanno ricevuto solo circa il 2% dei fondi globali per la mitigazione. Il bisogno è ancora maggiore nei Paesi in via di sviluppo, che affrontano un divario finanziario due volte più grande rispetto ai Paesi sviluppati e sono infatti soggetti a livelli più bassi di capitale disponibile e a rischi percepiti più elevati. E questa disparità sta crescendo: dal 2019 alla fine del 2023, circa il 55% della crescita degli investimenti nelle energie pulite sarà probabilmente concentrata nell'UE, negli USA e in Giappone, mentre circa il 35% in Cina.

BCG e WEF hanno individuato tre cause principali alla base del divario nell'azione climatica: mancanza di casi aziendali individuali, insufficiente attenzione da parte della gestione pubblica e privata, nonché sistemi non orientati verso l'azione collettiva. Da qui sono state evidenziate alcune priorità a breve termine su cui spingere. In primis è necessario migliorare gli impegni nazionali: i governi sono chiamati a ricostruire l'infrastruttura energetica e attuare pratiche ambiziose di approvvigionamento sostenibile, ma anche a rafforzare la propria azione per rimuovere gli ostacoli alla transizione (accelerare le autorizzazioni, supportare gli investimenti, riqualificare la forza lavoro). È importante poi equilibrare il campo della decarbonizzazione utilizzando meccanismi come la tassazione delle emissioni, i sistemi di scambio delle emissioni (ETS) e i meccanismi di adeguamento delle emissioni importate (CBAM).

Per quanto riguarda le aziende, esse devono essere incentivate a raggiungere obiettivi e azioni a breve termine e a rendere pubblici i propri piani di transizione verso la neutralità climatica. Prioritario anche implementare l'utilizzo delle tecnologie ad alto impatto per accelerare il loro ingresso sul mercato. In ultima analisi, sarà fondamentale aumentare il finanziamento per l'azione climatica dei Paesi in via di sviluppo, sia migliorando i finanziamenti da parte di aiuti bilaterali e Banche Multilaterali di Sviluppo, sia coinvolgendo più capitale privato e filantropico.

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