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Area Studi Mediobanca: pubblicato il nuovo report sul sistema universitario italiano

Dal calo demografico alla competizione territoriale, fino all’innovazione tecnologica

Economia, Scuola
Area Studi Mediobanca: pubblicato il nuovo report sul sistema universitario italiano
(Teleborsa) - Il sistema universitario italiano e` chiamato a fronteggiare il calo demografico e i suoi impatti economici. Assumendo costante il tasso di passaggio dalla scuola superiore all’universita`, nel 2041 il minore introito da rette di frequenza per la riduzione degli iscritti e` stimabile, in via prudenziale, in circa 500 milioni di euro, per effetto di circa 415mila studenti in meno (-21,2%). Il depauperamento della popolazione universitaria e` atteso piu` evidente nel Mezzogiorno, con flessioni superiori al 30% in Molise, Basilicata, Puglia e Sardegna che portano il Sud e le Isole a un calo complessivo del 27,6%. Meno acuti, ma comunque preoccupanti, i saldi negativi del Nord (-18,6%) e del Centro Italia (- 19,5%). Il contrasto del calo demografico passa anche attraverso il potenziamento dell’attrattivita` internazionale che tuttavia vede proprio gli atenei del Sud sfavoriti con appena il 2,5% di iscritti internazionali. D’altra parte, la stessa competizione territoriale in Italia nell’ultimo decennio ha sfavorito proprio le universita` del Sud (-16,7% di iscritti) e delle Isole (-17,1%), a fronte dei progressi di quelle del Nord Ovest (+17,2%) e del Nord Est (+13,4%).

È quanto emerge dal report pubblicato dall’Area Studi Mediobanca, sul sistema universitario italiano, dove si evince che la fuga dal Sud e Isole dipende anche dalle infrastrutture: il tempo medio necessario per raggiungere la sede degli studi nel Mezzogiorno supera i 150 minuti, mentre la media italiana e` di 88 minuti. La migratorieta` universitaria si deve poi confrontare con la modesta ricettivita` degli studentati universitari: si valuta essi offrano un posto ogni 9 studenti fuorisede, ma alcune stime portano il rapporto a 1:21. Purtroppo, il limitato investimento dell’Italia nell’educazione terziaria non aiuta ad affrontarne le sfide: l’1% del PIL del nostro Paese si confronta con l’1,3% medio della UE e l’1,5% dei Paesi OCSE; il nostro 1,5% in termini di spesa pubblica ci distacca dal 2,3% della UE e dal 2,7% dell’OCSE. Lo Stato contribuisce alla spesa per la formazione universitaria per il 61% del totale, rispetto al 76% della UE e al 67% dell’OCSE. La quota residua e` per lo piu` sostenuta dalle famiglie: 33% in Italia contro il 14% della UE e il 22% dell’OCSE. La stessa adeguatezza dell’offerta formativa delle universita` italiane solleva interrogativi, ad esempio in termini di composizione anagrafica del corpo docente: in Italia la quota con meno di 40 anni e` pari al 15,1%, contro il 19,7% della Spagna, il 30,5% della Francia e il 52,1% della Germania.

Il sistema universitario italiano si basa sulla presenza di atenei statali (61) e non statali o liberi (31) che a loro volta si suddividono in tradizionali (20) e telematici (11). Tutti gli atenei statali sono tradizionali. Nel 2022, l’82,2% degli iscritti frequenta un’universita` statale (era il 91,8% dieci anni prima), l’11,5% una telematica (2,5%) e il residuo 6,3% una libera universita` (5,7%). E` evidente l’esplosione degli atenei telematici i cui iscritti sono cresciuti nel decennio del +410,9%. Nello stesso periodo gli iscritti delle universita` tradizionali sono rimasti stabili (+0,1%), mediando la crescita delle non statali (+21,3%) e la flessione delle statali (-1,2%). Alcune cifre segnalano un’evoluzione positiva del sistema negli ultimi anni. Nel 2022, il 77,2% degli iscritti risulta regolare o in corso, in evidente miglioramento dal 66,6% del 2012. In effetti, le ultime coorti di studenti triennali evidenziano una crescente percentuale di laureati in corso: per gli immatricolati del 2017/18, essa ha toccato il 38%, al termine di una regolare crescita che partiva dal 27,3% della coorte 2011/12. Ma anche in questo caso il dato medio nasconde dinamiche differenziate e il 38% si assortisce per tipologia di ateneo e area geografica: tocca il 45,1% nel Nord Ovest, per scemare al 29,9% del Sud e al 27,3% delle Isole; si ferma al 37,8% per gli atenei tradizionali e sale al 44,8% per quelli telematici. Tuttavia, a sei anni dall’immatricolazione e sempre per le lauree triennali, risulta laureato il 63,7% degli immatricolati, con un tasso di ritardo o abbandono che appare ancora troppo elevato. Mediamente, la laurea triennale viene conseguita a 24,4 anni, mentre attorno ai 27 anni si ottiene quella magistrale: l’eta` media di laurea e` di 25,6 anni, anche in questo caso in calo dai 26,7 anni del 2012. In effetti, la popolazione universitaria degli atenei tradizionali si e` ringiovanita nell’ultimo decennio: la porzione di quella con eta` fino a 23 anni e` cresciuta dal 61,9% del 2011/12 al 66, 4% del 2021/22. Anche il voto medio di laurea e` migliorato: da 102,7/110 nel 2012 a 104/110 nel 2022.

Nel 2021/22 gli atenei italiani hanno offerto 5.180 corsi di studio (5.031 da parte di quelli tradizionali e 149 di quelli telematici), con un progresso dell’11,7% nel decennio, per un numero medio di studenti per corso attorno alle 380 unita`. Con riferimento agli ambiti disciplinari, i 5.180 corsi sono afferenti per il 35% a materie STEM, per il 25,6% al comparto sanitario e agro-veterinario, per il 23,9% appannaggio delle specialita` economico-giuridiche e per il residuo 15,5% di quelle artistico-letterarie. Il corpo docente e` un asset fondamentale dell’offerta didattica: quello di ruolo (esclusi quindi i docenti a contratto e gli straordinari) evidenzia una crescita cumulata tra il 2012 e il 2022 del 6,6%. Se per le universita` statali il progresso dei docenti si e` fermato al +5,3%, nelle universita` libere ha toccato il +21,7%, per segnare un raddoppio nelle telematiche (+102,1%). Il 56% del corpo docente ha almeno 50 anni, per un’eta` media pari a 51,1 anni che raggiunge il proprio massimo per i professori ordinari (58,2 anni). In tema di genere, il 41,3% del personale docente e` femminile (41,6% negli atenei statali e 39,7% nei non statali), ma merita ricordare che tra i Rettori in carica nel 2022 la quota di donne cade al 12,1% (era il 7,5% nel 2012). Il personale tecnico-amministrativo appare invece in contrazione dal 2012, con una flessione dell’8,1%. La variazione compendia il ridimensionamento degli atenei statali (-10,8%) cui fanno da contraltare gli incrementi delle libere tradizionali (+11,9%) e il balzo delle telematiche (+131,3%). Il 64,4% del personale tecnico-amministrativo degli istituti statali ha almeno 50 anni e l’eta` media e` cresciuta da 48,7 anni nel 2012 a 51,9 anni nel 2022, con picco di 55,8 anni per i ruoli dirigenziali. La quota femminile e` pari al 60,8%.

Le universita` telematiche sono nate tra il 2003 ed il 2006, dopo che la legge finanziaria per il 2003 ne aveva contemplato l’istituzione e l’abilitazione al rilascio di titoli accademici, previo superamento delle procedure di accreditamento. A partire dal 2006 il processo di riconoscimento e` venuto meno: la legge finanziaria per il 2007 ha fatto espresso divieto all’autorizzazione di nuove universita` telematiche. Le 11 oggi operanti in Italia agiscono quindi in un settore chiuso a ulteriore competizione. I numeri della loro crescita dal 2012 sono cosi` riassunti: +112,9% il numero di corsi, +444% gli immatricolati, +410,9% gli iscritti, +102,1% il corpo docente, +131,3% il personale tecnico- amministrativo. Il successo dell’insegnamento a distanza deriva da molteplici fattori, in primis demografici. L’allungamento dell’eta` media, e con essa quella del pensionamento, comporta carriere lavorative piu` estese che a loro volta si confrontano con un contesto in cui le competenze professionali tendono a divenire precocemente obsolete e a convivere con percorsi lavorativi che possono subire repentini cambiamenti e richiedere interventi di re-skilling o up-skilling.

La longevita`, inoltre, offre a coloro che hanno concluso il proprio percorso professionale l’occasione di approfondire in eta` matura conoscenze o interessi che non e` stato possibile coltivare in precedenza e che la formazione a distanza rende piu` facilmente fruibili. Inoltre, le universita` telematiche rappresentano un’opzione per quanti intendono seguire l’offerta universitaria extra regione senza doverne sopportare i costi. Infatti, il 42,8% (vs 35,6% per le tradizionali) degli immatricolati delle universita` telematiche e` residente nel Meridione. Anche il profilo anagrafico degli studenti delle telematiche e` peculiare: quelli con eta` superiore a 28 anni sono pari al 57,3% (vs 13,6% per le tradizionali) e l’eta` media degli studenti e` di 27,6 anni. D’altra parte, il 45,2% degli iscritti agli atenei a distanza proviene da una precedente carriera in atenei in presenza. La quota di laureati triennali in corso e` del 44,8% (vs 37,8% per le tradizionali). Questi elementi segnano una parziale segregazione della domanda formativa formulata dai frequentanti delle telematiche, che esprimono esigenze didattiche che con piu` difficolta` riescono a soddisfare negli atenei tradizionali. Ma la situazione e` in divenire: ad esempio, l’eta` media degli iscritti alle telematiche era di 35,2 anni un decennio fa, con parziale convergenza verso i profili degli studenti ‘tradizionali’. Inoltre, il calo demografico (e di iscritti) impone agli atenei in presenza di intercettare le richieste legate alle nuove esigenze formative: se e` vero che il 94% di tutti i corsi offerti resta fruibile solo in presenza, i corsi accessibili integralmente online rappresentano il 4% del totale, di cui il 3% ad opera degli atenei telematici. Il residuo 2% dell’offerta si configura in modalita` mista ad opera delle universita` tradizionali. Sommando la modalita` puramente digitale e quella mista degli atenei tradizionali, la loro offerta 'non tradizionale' e` nei fatti equivalente a quella degli atenei telematici.

Le tre tipologie di ateneo individuate (statali, non statale e telematico) comportano rette di frequenza (la c.d. contribuzione studentesca) assai differenziate: si va dai 1.374 euro in media richiesti dalle universita` statali, ai 2.147 euro delle telematiche, fino ai 7.447 euro delle non statali tradizionali. Le universita` statali nel 2022 hanno realizzato proventi operativi per 14,3 miliardi, cosi` composti: per il 22% da proventi propri (rette di frequenza e ricavi da ricerca), per 73,4% da contributi, la grande maggioranza proveniente dal Ministero dell’Universita`, e per il residuo 4,6% da ricavi diversi. Nell’insieme si tratta di 8,9mila euro per studente. La voce di costo piu` rilevante e` relativa al personale, che vale il 51,4% dei proventi operativi (37,2% il corpo docente e 14,2% il personale tecnico-amministrativo). Tra gli altri costi della gestione corrente si segnalano quelli relativi al sostegno agli studenti e al diritto allo studio (15,3%). Il sistema universitario statale, spesati costi operativi per 13,1 miliardi (8,2mila euro per studente), realizza un ebit margin pari all’8,3% dei proventi operativi e un risultato netto positivo che ne vale il 5,6% (circa 800 milioni di euro).

Resta da ricordare che gli atenei statali nel 2022 hanno sostenuto investimenti per oltre un miliardo di euro, il 7,1% dei proventi operativi, formati per 831,3 milioni da investimenti materiali e per 177,5 milioni da attivi immateriali. Il loro stato patrimoniale segna un totale pari a 31,2 miliardi. Il patrimonio materiale arriva a sfiorare i 10 miliardi e a toccare il 31,9% del totale attivo. Alcuni istituti sono proprietari di patrimoni librari e artistici importanti, la cui valutazione complessiva e` pari 858,2 milioni. Le poste creditorie (comprensive del trascurabile magazzino) si ragguagliano al 24,2% del totale attivo, ma per il 48% la voce e` afferente ai rapporti con il Ministero e le Amministrazioni centrali rivenienti dalla titolarita` dei contributi non ancora liquidati. Tuttavia, la voce individualmente piu` rilevante in seno agli atenei statali e` costituita dalla liquidita` che si attesta a oltre 11,9 miliardi di euro, ovvero il 38,2% del totale attivo. Il patrimonio netto, pari a 13,8 miliardi, rappresenta il 44,1% del totale di bilancio, anche se il 78,7% della sua consistenza ha natura indisponibile in quanto soggetto a specifici vincoli di destinazione. Il patrimonio non vincolato, derivante dai risultati di gestione, ammonta a circa 3 miliardi e supera la massa debitoria che si attesta a 2,6 miliardi. Con riferimento a quest’ultima, si rileva che essa e` costituita per il 31,7% da indebitamento bancario. Tra il 2016 e il 2022, i proventi operativi degli atenei statali sono cresciuti del 16%, sostenuti dai contributi (+23,4%). Il margine operativo netto e` passato dal 6,8% dei proventi operativi all’8,3% del 2022 (+40,7% in valori assoluti), dopo avere superato il 10% nel 2020 e 2021. Il risultato netto nello stesso periodo e` cresciuto del 26,5%.

I proventi operativi degli atenei tradizionali non statali hanno composizione differente: i proventi propri ne rappresentano il 74,5%, i contributi il 15,1%, gli altri ricavi il 10,4%. I proventi operativi per studente sono pari a 14mila euro. Il margine operativo netto si fissa al 2,4% dei ricavi operativi, il risultato netto al 3,9%. Quanto allo stato patrimoniale, la dotazione di liquidita` cala al 4,8% del totale attivo (era 38,2% nelle statali), ma ad essa si affiancano ora attivi finanziari immobilizzati (32,8%) e non immobilizzati (un ulteriore 10,7% del totale attivo). Il patrimonio netto complessivo si attesta al 48,2% del totale di bilancio, ma nelle libere universita` e` la quota non vincolata (67,8%) a prevalere su quella vincolata (32,2%). I debiti sono pari al 19% del totale attivo, ampiamente inferiori al patrimonio netto non vincolato. Infine, per le universita` telematiche i dati contabili si fanno assai scarsi. Tuttavia, per i maggiori operatori e` possibile stimare un ebit margin compreso tra il 30% e il 40%, di gran lunga superiore alle performance degli atenei tradizionali.
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