E così, se un giorno arriverà la recessione, il peso di combatterla ricadrà ancora una volta sulle banche centrali. Gli stabilizzatori fiscali automatici, l'ultima volta, hanno infatti funzionato in Europa solo per un anno. Poi la Germania ha guardato i buchi di bilancio prodotti dagli stabilizzatori, si è spaventata, e ha prescritto a tutti austerità per dieci anni.
Alla fine solo la Bce ha tenuto in piedi l'eurozona.
Storicamente, per uscire da una recessione con la politica monetaria occorrono 5.5 punti percentuali di ribassi dei tassi (calcolati dal picco dei tassi precedente la recessione). Arrotondiamoli per semplicità a 5, anche perché la prossima recessione potrebbe essere abbastanza superficiale.
In America il picco dei tassi è stato, fino a luglio, del 2.50. Usando solo strumenti convenzionali e tagliando i tassi di 5 punti, arriveremmo a meno 2.50. L'America non vuole però sentire parlare di tassi negativi, perché ha una storia e una cultura reflazioniste.
Ecco allora arrivare in soccorso il Quantitative easing. Un trilione di Qe (600 miliardi di euro in eurozona) equivale a un punto percentuale di ribasso dei tassi. I conti sono facili. La Fed porta i tassi dal 2.5 a zero e fa la prima metà del lavoro. Poi vara 2.5 trilioni di Qe e lo porta a termine. Due punti e mezzo di tagli, due trilioni e mezzo di Qe, totale 5. Fine della recessione.
Ma come, si può obiettare, l'attivo della Fed è già di 4 trilioni, dieci anni fa era di 800 miliardi, dove vogliamo arrivare? Arriveremmo a 6.5 trilioni, il 31 per cento del Pil. È troppo? È scandaloso? Può darsi, ma la Bce, già oggi, è al 41 per cento di attivo su Pil e la vita in Europa, in qualche modo, continua.
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