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Nel caso improbabile (2/2)

Che facciamo quando arriva la recessione?

Se c'è una cosa su cui quasi tutti nel mercato sono d'accordo è che non dobbiamo preoccuparci troppo della prossima recessione perché ormai si sa che a dare il cambio alla politica monetaria, affaticata e sempre meno efficace, arriverà la fata turchina della politica fiscale. Il tabù dei conti in ordine è un ricordo lontano e il debito, come scrivono anche economisti un tempo mainstream, non è più un problema, non perché sia diventato più piccolo (al contrario) ma perché ci siamo liberati mentalmente del suo peso e, una bella mattina, ci siamo svegliati improvvisamente leggeri e rilassati.

Staremo a vedere, ma a partire dal 2021, perché per il 2020 di politiche fiscali espansive non se ne vedono, nemmeno in Cina. Non che non ci siano i disavanzi pubblici (solo la Germania, nel mondo, è in surplus), ma quelli del 2020 non si profilano diversi da quelli del 2019. Nessuno stimolo aggiuntivo.

In America Trump, Pelosi e Schumer hanno raggiunto mesi fa un accordo bipartisan che copre il 2019 e il 2020. Il disavanzo concordato è alto, il 5 per cento per ciascuno dei due anni, ma rimarrà invariato. Nessun bilancio preelettorale con cui comprare consenso. In Europa si chiuderà un occhio su qualche sforamento qua e là, ma l'impalcatura di bilancio rimarrà la stessa, senza nemmeno gettare all'ortiche quello strumento in cui non crede ormai nessuno, ovvero l'output gap come base per calcolare i disavanzi strutturali.

E soprattutto rimarrà l'atteggiamento tedesco reattivo, mai proattivo. Fatemi vedere la recessione conclamata e certificata dal notaio, dice la Germania, e vi darò la politica fiscale. Non prima, nemmeno se provate a tingerla del verde del Green New Deal. E atteggiamento reattivo (datadependent vuole dire reattivo) sarà per inciso anche l'atteggiamento della Fed per tutto l'anno prossimo. Basta con i tagli dei tassi preventivi per fare contento Trump. I prossimi, se ci saranno, dovranno avere come giustificazione un Pil che buca lo zero.

A ben vedere, sulla politica fiscale viene qualche dubbio anche sul 2021. Joe Biden ha appena presentato le sue proposte fiscali. Il più centrista dei candidati democratici alzerà le tasse di tre trilioni in dieci anni (Trump le ha abbassate di due). Dovreste ringraziarci, dice il suo segretario al Tesoro in pectore Jared Bernstein, perché Buttigieg le vuole alzare di sette e la Warren di trenta. Certo, ci sarà anche più spesa pubblica, ma sappiamo che le tasse hanno applicazione immediata, mentre le spese, se per infrastrutture, arrivano ormai a richiedere decenni anche in America.
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