Cara Fed, dice ora il mercato, con l'inflazione avviata verso il 3 per cento non avrai il coraggio di provocare una recessione per il solo gusto di arrivare al 2 per cento e piantare la bandiera della vittoria. Non ce la farai mai a tenere duro ancora per un anno e a resistere alla crescita della disoccupazione, alle pressioni dei politici e agli incidenti finanziari.
Il mercato ha due giustificazioni per questo suo modo di pensare. Il primo è che
la Fed ha spesso annunciato con fierezza programmi restrittivi, salvo rimangiarsi tutto quando economia e borsa cominciavano a indebolirsi sul serio. Gli anni Settanta sono ricchi di esempi di questo modo di operare e delle enormi pressioni politiche che la Fed subiva quando la linea restrittiva cominciava a provocare dolore. Recentissimo è poi il caso dello stesso Powell nel 2018-19. Dopo essersi contrapposto frontalmente a Trump, che chiedeva alla Fed una linea espansiva, e dopo avere provocato una forte caduta della borsa, Powell si è spaventato e ha compiuto una poco gloriosa svolta quando aveva completato solo un terzo del Quantitative tightening che aveva annunciato e più volte confermato.
La seconda giustificazione è che
il quadro globale è fragile. Non è questo, si può argomentare, il momento migliore per fare i duri. Siamo in guerra, l'economia globale rallenta, lo stock di debito in rapporto al Pil è vicino ai massimi storici (anche se l'inflazione lo ha leggermente ridotto, cosa che non potrà più continuare a fare nel nuovo mondo dei tassi reali positivi e superiori ai tassi di crescita del Pil).
La
Fed, dal canto suo, ha ragioni altrettanto concrete per proseguire sulla sua strada. La prima è che
non avrà troppe pressioni dalla Casa Bianca. Il 2023, visto dall'amministrazione Biden, è l'anno ideale per fare pulizia in modo da preparare un 2024, l'anno delle presidenziali, senza inflazione e con i mercati in rialzo.
In secondo luogo
per la Fed la battaglia contro l'inflazione non è vinta se non si calmano le pressioni salariali. Ecco allora che la stessa Fed che nel 2021 dichiarava che non si sarebbe data pace fino a che l'ultima minoranza svantaggiata non avesse raggiunto la piena occupazione, oggi si prefigge esplicitamente l'obiettivo di distruggere più di un milione e mezzo di posti di lavoro per arrivare a una disoccupazione del 4.6 per cento.
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