I mercati ci provano, si buttano da una parte e dall'altra nel tentativo di riflettere e anticipare la realtà sottostante, ma capire quello che succede sta diventando davvero difficile. Ancora più difficile, di conseguenza, è capire come comportarsi.
Tanto è stato lineare il primo semestre, infatti, quanto il secondo si profila irregolare e nevrotico come l'architettura postmoderna di Franz Gehry. Nei primi sei mesi (ma in realtà dall'ottobre scorso) la narrazione dominante è stata quella, molto rassicurante, di un'inflazione in discesa e di una economia a tratti perfino troppo forte. Le banche centrali si sono mostrate di nuovo attente a dosare i rialzi in modo da non danneggiare la crescita.
Il posizionamento, prudente per le perduranti attese di recessione, ha aiutato il rialzo. Di fronte al rischio di rimanere esclusi dal rialzo azionario, molti gestori diffidenti hanno capitolato e comprato, aiutando a loro volta il recupero. Hanno aiutato anche le valutazioni di partenza, ragionevoli o sacrificate in Europa e Asia e in una parte rilevante delle borse americane.
In questo contesto
i mercati hanno mostrato la tendenza ad accogliere bene sia i dati macro positivi sia quelli negativi. I primi perché allontanavano la temuta recessione. I secondi, una minoranza, perché attenuavano i rischi di surriscaldamento. L'inflazione non ha mai preoccupato seriamente. I suoi rimbalzi sono stati presto archiviati come temporanei, nella ferma convinzione che il ritorno al 2-3 per cento era solo questione di tempo.
Quanto ai temi specifici,
la ripresa cinese prima, l'Intelligenza Artificiale in seguito, sono state di grande aiuto. Le crisi bancarie, dal canto loro, dopo avere creato qualche timore si sono trasformate paradossalmente in un fattore positivo nella misura in cui tenevano a bada la volontà delle banche centrali di stroncare l'inflazione con rialzi troppo energici dei tassi.
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