Facebook Pixel
Milano 17:35
34.339,32 +0,55%
Nasdaq 17:39
18.119,7 +0,19%
Dow Jones 17:39
39.230,58 +0,45%
Londra 17:35
8.381,35 +0,33%
Francoforte 17:35
18.686,6 +1,02%

La banalità del male


Probabilmente è necessario tornare alle considerazioni della Arendt in merito alla perdita della struttura morale interiore che è diventata labile ed inconsistente, lontana dalle radici e senza memoria. Infatti un comportamento morale presuppone una capacità interiore - il riflettere su se stessi - di capire quale azione sia un bene o un male e quindi di comportarsi di conseguenza, ma senza questa struttura interiore si diventa facili prede di comportamenti passivi che ci rendono schiavi di un ordine esterno che viene imposto da interessi superiori. Per capire, dobbiamo guardare al modello socioculturale che ha plasmato le nostre vite in cui il pensiero unico tecnico-razionale si è affermato come verità incontrovertibile e l'economia come scienza morale.

La cultura tecnica-razionale dominante nei nostri tempi ci fa vedere solo il futuro come garanzia di successo e il sole non tramonta mai; si dimentica del passato e degli errori fatti così viene meno la memoria e la previdenza che è la dote che ci distingue di più dagli animali. La "techné" ci ha distaccato dall'intimità di vere relazioni personali sentite, vissute e partecipate; eventi importanti nella vita come il concepimento, la nascita, la malattia e la morte sono ormai considerati solo meri eventi biologici. Le modalità relazionali sono virtuali, fugaci, fulminee e superficiali fatte da un limitatissimo numero di parole; un modello culturale che scivola sull'onda molto più rapidamente del tempo che sarebbe necessario per scendere in profondità. Si forma una non-cultura che va rendendo sempre più sterile ed asettico il rapporto interpersonale, uno "zapping" continuo che impedisce la riflessione ed un dialogo interiore, nella sostanza sterilizza il senso della morale sociale in cui si diventa "tutti contro tutti" ma non "tutti insieme per il bene comune". L'individuo deprivato della sua intimità perde la dimensione di "persona" e viene economicizzato: un uomo-non umano. La "banalità del male" rischia davvero di diventare una "normalità" e gli orrori passati non rappresentano un'unicità (Anders, "L'uomo è antiquato").

Il progresso tecnico avrebbe dovuto affrancarci dai dolori e dalle miserie che limitano mortalmente la vita dell'uomo invece non è stato così ma tutto il contrario: sono aumentate le disuguaglianze, la povertà, il degrado morale, la disoccupazione, l'insensibilità verso gli altri che ci espongono ai rischi descritti, definiti da Zimbardo anche come "L'effetto Lucifero" (Raffaello Cortina, 2008).

Allora tutto ciò che continuiamo a definire "crisi economica" dipende da un errato funzionamento delle tecniche dell'economia, da un tecnicismo esasperato che non riesce a ritrovarsi oppure dal collasso di un modello socioculturale? La disuguaglianza e l'immoralità sono problemi tecnici o culturali? L'evidenza dei fatti è drammaticamente di fronte a tutti ma queste "esternalità" negative come dicono gli economisti o "danni collaterali" come li definisce Bauman nessuno vuole vederli. In un tempo in cui si dovrebbe affermare il senso della solidarietà sociale ed il ritorno anche ad una dimensione spirituale dell'animo i valori fondamentali di "uguaglianza, libertà e solidarietà" sembrano essersi dissolti nel vento divorati da un nuovo totalitarismo pseudo-culturale.

Condividi
"
Altri Top Mind
```