(Teleborsa) - Una piccola lastra di alluminio, un QR code e un volto che oggi non esiste più. Basterebbero questi tre elementi per raccontare come il
mercato dell’arte stia entrando in una
nuova fase, in cui valore, autenticità e percezione si costruiscono anche attraverso la tecnologia. È il cuore di
Digital Labyrinth, l’opera di
Andrea Crespi presentata all’interno della mostra
Artificial Beauty, visitabile alla
Fabbrica del Vapore fino al 25 gennaio 2026.L’intervento trae origine da una performance non autorizzata realizzata dall’artista nel 2022 al
MoMA di New York: Crespi aveva collocato tra le sale del museo un
QR code che, inquadrato dai visitatori, attivava un autoritratto in realtà aumentata. Un’azione capace di generare un
cortocircuito tra istituzione, pubblico e sistema dell’arte, oggi più che mai attuale nell’epoca in cui musei, creatori di contenuti e tecnologie immersive ridefiniscono il valore dell’esperienza culturale.
Trasferita ora nella cornice milanese, Digital Labyrinth si presenta come un reperto dell’effimero digitale: il
QR code è visibile, ma non attiva più alcuna immagine. L’
opera aumentata è stata "cancellata" da un semplice aggiornamento del link. Il codice resta, l’aura digitale svanisce. Un gesto che mette in luce la
fragilità degli asset immateriali in un mercato sempre più orientato al digitale, dai NFT alle installazioni immersive, e che interroga la sostenibilità a lungo termine dell’arte basata su software e cloud.
Artificial Beauty, a cura di
Alisia Viola e Sandie Zanini, riunisce oltre
trenta opere tra robotica, pittura, scultura e ambienti immersivi, confermando Andrea Crespi come una delle figure italiane più presenti nel dialogo internazionale tra tecnologia e linguaggio visivo. Le sue installazioni sono state esposte in contesti strategici per l’economia culturale globale, dalla Triennale di Milano al CAFA di Pechino, fino a Times Square e Art Dubai.
La mostra rientra nel programma ufficiale
Mostre Comune di Milano 2025 e gode del patrocinio della
Regione Lombardia, con il sostegno di
Cupra e BPER e la media partnership di
Urban Vision. Un ecosistema di partner che indica con chiarezza quanto l'innovazione artistica oggi dialoghi direttamente con brand, istituzioni e filiere creative.
Digital Labyrinth diventa così non solo un’opera, ma un caso di studio sul futuro dell’arte digitale: sulla sua conservazione, sul suo valore e sulla capacità — o vulnerabilità — delle tecnologie di ridefinire ciò che consideriamo patrimonio. Un tema centrale per i musei, per il mercato e per chi investe nei linguaggi contemporanei.