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Una crisi in prima visione


Tutte le crisi prima o poi finiscono, ma è certo che se ne ripresenteranno di nuove, ponendole quindi come un inevitabile effetto collaterale della struttura della finanza globale, concettualmente intesa, che contamina ciclicamente il rapporto tra economia e finanza. Per questo motivo è necessario ripensare la finanza globale, per renderla coerente con le intenzioni di pacificazione dei popoli e al loro diritto all'autodeterminazione. La posta in gioco è elevatissima e si tratta di non lasciare in mano a chicchessia questa nuova configurazione concettuale, ma ancor di più di ancorarla ad una situazione politica che vada oltre la semplice tregua e si affranchi da un momento di transizione che dura oramai da vent'anni, complicandone terribilmente il divenire.

Questo preambolo per spiegare alcuni concetti, perché c'è in giro un'interpretazione della crisi, in fieri oramai da quattro anni, che è considerata quasi una disgrazia o il risultato di esagerazioni, errori od imbrogli strani, ai quali oggi occorre rimediare. Ovviamente un rimedio ex post, per riordinare tutto facendo pagare a qualcuno il conto della disgrazia e degli sbagli fatti. Il piatto si è rotto e cosa possiamo fare, noi poveri mortali, oltre a rimettere insieme i cocci? Di fronte a ciò che si legge e si ascolta su giornali e tv di tutto il mondo, è difficile dar torto alla gente comune che la pensa così. Se i prezzi di immobili e titoli si sono ridotti ai minimi termini, qualche serio imprevisto o qualche terrificante imbroglio, ci devono essere per forza. Non è normale che la borsa mandi in fumo montagne di miliardi di ricchezza delle famiglie e delle imprese; è abbastanza naturale che si pensi a qualche oscura manovra in stile medievale.

Da qui la domanda più immediata: ma di chi è la colpa di tutto ciò? La risposta, sbagliata ma non per questo meno convinta è "degli altri", ovviamente. Chi era di sinistra ha trovato nella crisi la conferma delle proprie idee e delle critiche, apportate a suo tempo, al tracimante neoliberismo, che ha fatto sprofondare lo Stato, stimolato la finanza facile e lasciato mano libera alla globalizzazione e al dilagante lobbismo. Rimedio? E' ovvio: tornare indietro ai fasti del Welfare statale e dell'ordine centralizzato; ovvero, abbiamo scherzato, ricominciamo tutto daccapo, come se nulla fosse successo. E come? Recuperando la sovranità dello Stato, mettendo in campo una punta di sano protezionismo, che difenda gli interessi della nazione e ristabilisca il primato della politica sui mercati e del collettivo sul privato. Insomma, Dio, patria e famiglia al servizio della causa tesa a correggere gli eccessi del mercato.

Dal canto loro i neoliberisti non sembrano affatto pentiti. Anzi. Di chi sarebbe, secondo la nuova razza padrona, la colpa degli eccessi provocati dalla fantafinanza e dai mercati non regolamentati? Ma della politica no? che ha sabotato l'equilibrio naturale dei mercati per un assoluto fine politico, cioè forzare la crescita in pieno stile Greenspan, con l'immissione di un'ingente massa di liquidità a costo zero, sbaraccando le regole che servivano a rendere ordinati e trasparenti i mercati.

Si dice che la storia degli ultimi trent'anni non sia una storia prodotta dal libero mercato, si dice, ancora, che sia una storia manipolata e che quella del mercato truccato e accomodato a qualche interesse privato sia un altro film, visto magari dall'ultima fila dell'ultimo cinema di periferia. Ma noi, da qui, che cosa abbiamo visto allora? Boh!
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