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Ogni promessa è un debito... pubblico

Da qui al voto è lecito attendersi un vero e proprio florilegio di future meraviglie, se non di miracoli veri e propri, di impossibile realizzazione.

Alla luce di questa non remota eventualità qualcuno reputa inaccettabile questa sorta di ipoteca mercantile sulla nostra democrazia. L’Italia paga anni di dissennatezze finanziarie, tanto da diventare un contraente piuttosto debole sul Mercato dei capitali. Il nostro rapporto debito/PIL è fra i più elevati al mondo e più del 40% dei nostri titoli di Stato sono in mano estera. Dal 2007 al 2011 il suddetto rapporto è passato dal 106 al 120% e questo peggioramento è stato accompagnato da analogo andamento di quasi tutte le grandezze economiche rilevanti: il tasso di disoccupazione è salito dal 6,5 all’8,5%, la spesa pubblica sul PIL dal 48 al 51,5%, la pressione fiscale dal 41 al 42,5%, il potere d’acquisto è diminuito del 10%, la ricchezza delle famiglie è calata del 4%, mentre in tutto questo periodo la crescita languiva a livelli di prefisso telefonico.

Di fronte a questi dati, con un tasso sui titoli decennali ad un passo dall’8% e con un trend di ascesa inarrestabile, negare l’esistenza della crisi che ci stava conducendo ad un passo dal default appare esercizio francamente risibile. Ancora più incredibili sono le promesse avanzate in campagna elettorale per uscire dalla situazione di contrazione del nostro sistema economico, conseguenza inevitabile dell’azione di risanamento necessaria per mettere in sicurezza il bilancio dello Stato.

Diminuire in modo generalizzato le tasse ed in particolare abolire l’IMU: a prescindere dalla copertura finanziaria di simili provvedimenti, ce lo possiamo permettere senza scassare l’ancor fragile equilibrio dei conti pubblici? È serio affermare che basta aumentare un po’ le imposte sulle sigarette, sul cui prezzo già incidono per il 75%, e sui giochi per recuperare lo stesso gettito? Il carico fiscale è sicuramente eccessivo, ma solo per chi fa il proprio dovere; le stime indicano concordemente in 100 miliardi l’evasione annua e recuperarne anche un 30% consentirebbe alleggerimenti non virtuali o “parolai”. Anche la strada che passa attraverso l’intervento pubblico, seppur per finalità produttive, non risulta praticabile, se non come conseguenza di tagli quantomeno eguali da imputare ad altri capitoli di spesa.

Ad eccezione della Francia siamo il Paese con il più elevato rapporto fra spesa pubblica e PIL e nonostante ciò abbiamo visto quante difficoltà insorgono ogni qualvolta si parli di una sua ristrutturazione. Che dire infine di coloro che vedono nell’uscita dall’euro e nel ritorno alla lira la chiave per risolvere i nostri problemi? Lo Stato non sarebbe più nella condizione di onorare il suo debito che andrebbe in default, il sistema bancario collasserebbe, i detentori di BOT perderebbero buona parte dei loro risparmi, l’INPS non sarebbe più nelle condizioni di pagare le pensioni, il tutto a fronte di un effimero vantaggio competitivo delle imprese esportatrici.

Parafrasando Battiato, è una ben povera Patria quella che rischia di essere amministrata da qualche ricco Pinocchio specialista in sparate demagogiche mai mantenute, ovvero da velleitari spendaccioni che riprendono teorie economiche mal digerite, o peggio da apprendisti stregoni le cui alchimie ci porterebbero al disastro. Non ci resta che sperare nell’intelligenza e nel buon senso del popolo sovrano.

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