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Tra cavallo e capitalismo

Storie come quella di Telecom dicono tutto.

“Il progetto di privatizzazione evidenzia una serie di importanti criticità, le quali vanno dall'elevato livello dei costi sostenuti e dal loro incerto monitoraggio, alla scarsa trasparenza connaturata ad alcune delle procedure utilizzate in una serie di operazioni, dalla scarsa chiarezza del quadro della ripartizione delle responsabilità fra amministrazione, contractors ed organismi di consulenza, al non sempre immediato impiego dei proventi nella riduzione del debito”.

Questo è il secco giudizio della Corte dei Conti sulle procedure di privatizzazione delle aziende statali, espresso in un documento del febbraio 2010, in cui ricade anche Telecom Italia, privatizzata nel 1997 sotto il Governo Prodi.

Un po' di storia...

Nel 1964 si riuniscono sotto il nome SIP, le cinque società che nei 40 anni precedenti avevano gestito territorialmente il servizio telefonico nazionale, dopo la riforma di Mussolini del 1925.

Sempre nel 1964 la STET riorganizza l’intero gruppo creando un aggregato polifunzionale attivo nelle comunicazioni spaziali, satellitari, telegrafici e radiotelegrafici.

Nel 1985 la Stet colloca sul mercato finanziario, cioè in borsa, il 28% del capitale della SIP, detenendone comunque il controllo.

Proprio da questo punto, cioè con la vendita al mercato di una parte del proprio capitale e dopo 60 anni di onorata attività al servizio del paese sotto il controllo dello Stato, la SIP si è macchiata del suo peccato originale, che la distinguerà nel decennio successivo nel quale avverrà tutto e il contrario di tutto. Vediamo cosa.
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