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Spending review, ma delle rendite

Troppi costi gonfiati pesano su famiglie e imprese

Per la manovra 2020 è partita la sarabanda, con il governo che cerca di uscire dall'angolo: promette tagli di tasse, mentre per rispettare gli impegni europei dovrebbe aumentarle.

La verità è che, quando si tratta di tagliare le tasse, sono tutti d'accordo.

I consumatori sperano di avere qualche lira in più in tasca da spendere, i commercianti sperano di aumentare i ricavi, i produttori sperano di poter incrementare la loro attività.

Quasi ogni governo promette di abbassare le tasse, ma ognuno ha la sua ricetta. Tutti, invece, proclamano la necessità di ridurre gli sprechi e le spese superflue: la spending review della spesa pubblica è un impegno unanime, a parole. Poi, però, c'è da fare i conti con il deficit che salirebbe, con la copertura finanziaria attraverso le spesa da ridurre.

Molto spesso è una partita di giro, in cui non si sa mai bene chi ci guadagna e chi ci perde. Le manovre devono essere complesse, confuse, in maniera tale da ridurre al minimo le opposizioni di chi sarà invariabilmente colpito.

Giulio Tremonti teorizzava il federalismo fiscale, e lo spostamento della tassazione dalle persone alle cose e dal lavoro alle rendite. Di fatto, ampliò la No-tax area, innalzando il livello di reddito esente da imposte.

Matteo Renzi ha dato un taglio al cuneo fiscale sui redditi di impresa ed ha messo 80 euro in busta paga a diversi milioni di lavoratori.

Nel governo Conte, siamo ancora ai nastri di partenza: Matteo Salvini vuole una Flat-tax, almeno per i redditi medio bassi; Giovanni Tria, titolare dell'Economia, un tempo si disse favorevole all'aumento dell'Iva riducendo le imposte sui redditi. Il M5S cerca una via di uscita, ipotizzando la eliminazione della tassa di proprietà sulle auto, la più odiata delle imposizioni dopo l'IMU sulla prima casa.

La cruda realtà dei fatti è un'altra.

I conti del 2020 devono tenere conto degli effetti della minore crescita nell'anno in corso rispetto a quanto previsto nel DEF presentato a settembre 2018, e delle clausole di salvaguardia che già dispongono un consistente aumento dell'Iva a partire dal 1° gennaio 2020. L'aliquota ridotta, ora al 10%, salirebbe al 13%. L'aliquota ordinaria, ora al 22%, arriverebbe al 25,2%. A partire dal 1° gennaio 2021, crescerebbe ancora, al 26,5%. L'aumento delle accise sui carburanti, previsto sempre a partire dal 2020, dovrebbe portare un maggior incasso di 400 milioni di euro l'anno.
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