Le Autorità su cui incombe la gestione delle crisi di aziende di dimensioni sistemiche, governi e banche centrali, sono sempre attanagliate dalla preoccupazione per le conseguenze destabilizzanti di un fallimento di queste dimensioni, soprattutto quando siano risultate inefficaci anche le procedure straordinarie previste in caso di gravi difficoltà per la continuità aziendale, come accadde per la
Lehman Brothers che il 15 settembre 2008 presentò domanda per essere ammessa alle tutele previste negli USA dal Chapter 11 del Codice Fallimentare.
L'alternativa al fallimento destabilizzante è il salvataggio con misure straordinarie: in pratica, se ne accolla il costo al bilancio statale, e quindi ai cittadini. Sempre in relazione alla crisi della Lehman e di altri soggetti finanziari ed assicurativi, il Dipartimento del Tesoro predispose in via di urgenza un provvedimento legislativo denominato
TARP (Troubled Asset Relief Program): in pratica, sarebbe stato autorizzato a comprare dai detentori sul mercato i titoli di credito il cui valore era crollato per via del rischio di mancato pagamento degli interessi pattuiti o del rimborso del capitale prestato. Si accese un dibattito politico violentissimo, al cui esito accadde l'impensabile: da una parte
la Lehman fu lasciata fallire e dall'altra venne approvato il programma TARP per riuscire a stabilizzare i corsi.
In
Europa, furono gli Stati ad intervenire massicciamente a favore delle banche che avevano al proprio attivo i titoli dimostratisi non solo temporaneamente illiquidi ma senza più alcun sottostante credibile: furono dunque
autorizzate misure di salvataggio a carico della collettività (bail-out).
Solo successivamente, sono state introdotte misure volte ad accollare agli azionisti, agli obbligazionisti ed ai depositanti con conti superiori a 100 mila euro il costo di una liquidazione: si è passati dal salvataggio a carico della collettività (bail-out) alla responsabilizzazione di coloro che sono comunque coinvolti nella fallimentare gestione bancaria (bail-in).
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