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Diritto all'oblio, Corte Ue dà ragione a Google: "Non può essere globale"

Per il motore di ricerca rimane, invece, l'obbligo di applicare la deindicizzazione, su richiesta degli interessati, in tutte le sue versioni negli Stati membri Ue

Economia, Scienza e tecnologia
Diritto all'oblio, Corte Ue dà ragione a Google: "Non può essere globale"
(Teleborsa) - Qualora dovessero accogliere una richiesta di "diritto all'oblio" da parte di un utente, i motori di ricerca non sono obbligati ad applicarla a livello globale in tutte le loro versioni. Tuttavia, fatto salvo alcune eccezioni previste dal diritto Ue, vale invece anche per i gestori dei motori di ricerca il divieto di trattare determinati dati personali sensibili. È quanto ha deciso la Corte di giustizia europea in merito al ricorso presentato al Consiglio di Stato da Google Inc contro la multa da 100mila euro ricevuta dalla Commissione nazionale dell'informativa e delle libertà francese (Cnil). Multa che il colosso d Mountain View aveva ricevuto per essersi rifiutato di applicare la deindicizzazione dei link a tutte le versioni del suo motore di ricerca.



Secondo i giudici del Lussemburgo per rispettare pienamente il diritto all'oblio sarebbe, infatti, necessaria un'operazione a livello mondiale ma, attualmente, molti Stati terzi non riconoscono tale diritto o lo applicano diversamente. In sostanza per la Corte il gestore di un motore di ricerca non è responsabile del fatto che dei dati personali sensibili compaiono su una pagina web pubblicata da terzi, ma dell'indicizzazione di tale pagina. Rientra quindi nei suoi compiti verificare se l'inserimento dei link nell'elenco dei risultati sia strettamente necessario per proteggere la libertà d'informazione degli utenti, oppure se questi possano essere "deindicizzati" su richiesta dell'interessato. Per il motore di ricerca rimane, invece, l'obbligo di applicare il diritto all'oblio in tutte le sue versioni negli Stati membri Ue, mettendo in pratica misure che permettano quantomeno di scoraggiare gli utenti dall'accedere, attraverso l'elenco dei risultati, a versioni "extra Ue" del motore stesso.

La controversia era iniziata nel 2015 quando la Cnil aveva ordinato a Google di rimuovere dai risultati di ricerca a livello globale informazioni sensibili su un utente. L'azienda, pur avendo introdotto l'anno seguente una funzione di blocco geografico che impedisce agli utenti delle versioni europee di Google di vedere i link eliminati, non aveva censurato i risultati per le persone in altre parti del mondo.

"Dal 2014 ci siamo impegnati per implementare il diritto all'oblio in Europa e per trovare un punto di equilibrio tra il diritto di accesso all'informazione e la privacy. È bello vedere che la Corte ha condiviso le nostre argomentazioni" ha commentato Peter Fleischer, Senior Privacy Counsel di Google.

"Il Diritto all'oblio dovrebbe rappresentare un modello globale. In un mondo strutturalmente interconnesso e in una realtà immateriale quale quella della rete, la barriera territoriale appare sempre più anacronistica" sostiene, invece, il Garante per la privacy, Antonello Soro.




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