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Eurozona: è un problema di deficit. Ma quale?

Per evitare un aggravamento della crisi i Paesi in attivo devono aumentare la propria domanda interna.

Il vero, unico, comune denominatore delle economie GIPSI è stato il loro consistente disavanzo della parte corrente della bilancia dei pagamenti, ossia la presenza di una domanda interna che, sostenuta dal credito facile, trovava soddisfazione nell'importazione di beni e servizi dall'estero in misura eccessiva rispetto alla propria capacità competitiva internazionale. Nel 2008, ad esempio, Grecia e Spagna erano agli antipodi quanto a disciplina fiscale del settore pubblico, ma condividevano un disavanzo record delle partite correnti: - 12% del PIL per la Grecia; quasi - 10% per la Spagna.

La restrizione del credito a livello mondiale esplosa con la crisi di Lehman Brothers ha reso da subito insostenibile l'equilibrio delle economie dei GIPSI che sono entrate in pesante recessione. Da un lato, la loro consistente domanda domestica, indipendentemente dal fatto che si generasse nel settore pubblico o in quello privato, ha perso il propellente del credito facile e abbondante. Dall'altro lato, il condividere una valuta comune con Paesi a ben più alta produttività non ha permesso ai GIPSI di far valere la competitività internazionale necessaria per intercettare una quota crescente di domanda estera con cui supplire a quella interna che veniva a mancare.

Nonostante tutto, il riequilibrio di tali scompensi macroeconomici è in corso. Il disavanzo di parte corrente per la Grecia è sceso al 5% e per la Spagna a circa il 3% del PIL, valore questo che è prossimo a quello dell'Italia (-2.7%). Simmetricamente, per la Germania il dato è sceso da +6,2% a +4,9%.

L'aggiustamento, però, sta avvenendo nel modo peggiore possibile poiché fa leva sull'impoverimento progressivo delle economie periferiche per frenarne le importazioni e consentire, nel medio termine, un loro recupero di competitività grazie alla contrazione dei livelli salariali in termini reali, se non persino nominali.

Questo processo, nel gergo economico definito di "deflazione interna", è doloroso per cittadini e imprese, nonché dall'esito incerto per le sorti delle finanze pubbliche. La contrazione del reddito domestico prodotto può portare minori proventi fiscali nelle casse dello Stato, ma, soprattutto, lo Stato può essere costretto a farsi carico di ingenti debiti privati al fine di evitare il collasso di grandi gruppi bancari o industriali soffocati dalla recessione. E' quanto accaduto in Spagna e Irlanda, Paesi in cui il debito pubblico è pressoché raddoppiato in meno di un triennio per effetto dei salvataggi bancari operati.

Altre soluzioni sono al momento precluse. Un recupero di competitività da parte dei Paesi periferici da ottenersi tramite svalutazione competitiva è in teoria possibile. Nulla infatti vieta a un Paese membro di abbandonare l'Eurozona, sebbene, alla luce dei trattati in essere, una siffatta scelta comporterebbe il contestuale abbandono dell'Unione Europea. In pratica, però, tale soluzione è da escludere a meno di un'implosione totale del sistema finanziario. A causa dell'enorme ammontare di contratti denominati in euro, è inimmaginabile una gestione ordinata di una qualsiasi fuoriuscita dall'Eurozona.
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