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Sette note

Grexit, petrolio, utili, dollaro, euro, rublo e due fuorvianti frasi fatte

Petrolio. Il quadro è molto fluido. Il mercato sta dando molto peso alla riduzione del numero di pozzi in funzione negli Stati Uniti. In realtà, strutturalmente, è ancora più importante il congelamento, se non la cancellazione definitiva, di alcuni grandi progetti di estrazione che avrebbero dovuto entrare in produzione nei prossimi anni. Accanto a questo, tuttavia, va segnalato che molti paesi Opec (tra cui l'Arabia Saudita) e la Russia stanno producendo più di prima e hanno tutta l'intenzione di continuare a farlo.

Dovendo scommettere, è probabile che alla fine del 2016 il prezzo del Brent sia più vicino ai 70 dollari che ai 40, ma il percorso sarà accidentato e non ci stupirebbe di rivedere temporaneamente i minimi nel corso di quest'anno.

Antico spartito musicale cineseMeglio il rublo dell'euro. In questi mesi si è parlato molto del drammatico e incontrollato crollo del rublo, ennesima prova dell'estrema fragilità di una Russia piagata dalle sanzioni internazionali, dalla caduta libera del petrolio e del gas natural, da tassi d'interesse vicini al 20 per cento, da imponenti fughe di capitali e da una guerra a intermittenza sul confine ucraino.

Si è anche parlato molto della brillante e ordinata correzione dell'euro, che non mancherà di avere, insieme al crollo del greggio e ai tassi a zero, conseguenze molto positive sulla crescita europea.

Partendo dai livelli di un anno fa esatto, vediamo in effetti che il rublo ha perso rispetto al dollaro un rovinoso 29 per cento. L'euro, dal canto suo, nello stesso periodo si è comunque indebolito anch'esso del 23 per cento.

Il rublo ha dunque perso l'8 per cento rispetto all'euro. Chi però, un anno fa, avesse aperto un deposito euro rinnovabile ogni tre mesi non avrebbe incassato d'interesse quasi nulla. In rubli, invece, un deposito a tre mesi ha reso complessivamente il 13 per cento.

Se ne conclude che l'investimento in rubli ha reso di più di quello in euro.
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