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Le favole sull'Europa e gli incubi della crisi

I profitti di un sistema produttivo preistorico e cannibalesco, perduti dalla finanza speculativa, vengono ripagati con i debiti pubblici a tassi da usura.

Siamo arrivati al diciottesimo mese di caduta del PIL e l'Istat ha comunicato che la produzione industriale dello scorso mese è precipitata, anno su anno, del 5,8%. Si va di male in peggio.

Le ricette adottate in Europa per superare la crisi, con una austerità a senso unico volta a risanare in fretta e furia i bilanci statali, hanno creato una recessione economica che ormai pregiudica non solo la sopravvivenza di tante aziende ed il mantenimento di milioni di posti di lavoro, ma anche la stabilità dei sistemi bancari. Quello italiano, che si era brillantemente sottratto al gorgo dei titoli subprime americani, ora è messo in crisi dall'economia reale che boccheggia.

Più che manovre, fatte di tagli e di tasse, è arrivato il momento di rimettere in discussione le regole dell'Unione europea. C'è un abuso continuo di posizioni dominanti: industriali, finanziarie e politiche.

Sono ormai cinque anni suonati che, per uscire dalla crisi, ci raccontano favole. In Europa, la prima che si è diffusa classifica i popoli in cicale e formiche: i primi, invariabilmente a sud, sono i greci, gli spagnoli, i portoghesi e naturalmente gli italiani. Messi sotto accusa: troppe aziende inefficienti, troppi lavoratori assistiti, troppe spese pubbliche assistenziali e soprattutto ruberie di ogni genere. I popoli del nord, seri e rigorosi, non sono disposti a tollerare più oltre questo andazzo: che gli altri si salvino da soli, senza chiedere solidarietà all'Europa.
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