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Le favole sull'Europa e gli incubi della crisi

I profitti di un sistema produttivo preistorico e cannibalesco, perduti dalla finanza speculativa, vengono ripagati con i debiti pubblici a tassi da usura.


Così, l'austerità sarebbe stata risanatrice e salvifica: i debiti pubblici sono da ridurre, insieme alle spese sociali, assistenza e previdenza, istruzione e sanità. Lussi che non ci potremmo più permettere. Un attacco in piena regola alle conquiste sociali di un secolo: sono la causa della crisi, della mancata competitività di fronte alla globalizzazione. Occorrono riforme strutturali: meno garanzie, più flessibilità. Il posto fisso a vita è "noioso": i giovani sarebbero penalizzati dalla voracità degli anziani, che hanno rubato loro il futuro.

Siamo di fronte alla crisi, irreversibile, di un modello squilibrato, che postula la possibilità che alcuni si arricchiscano di continuo mentre altri si indebitino senza fine.

A ricordare quanto è accaduto in Spagna, ci si accappona la pelle: entrò nell'euro che aveva un rapporto debito PIL del 60%, altro che l'Italia con oltre il 110%. Era affidabile: fu così alluvionata di credito proveniente dall'estero, che passò dai 434 miliardi di euro del 2005 ai 1.078 miliardi del 2008, al ritmo di centinaia di miliardi in più ogni anno: denari che sono stati impiegati nella forsennata costruzione di immobili, di milioni di vani ancora oggi invenduti, ed in investimenti infrastrutturali mirabolanti, a carico dello Stato e delle municipalità, per la felicità dei costruttori. Tutto a debito, impossibile da ripagare.

La verità è che la finanza tedesca ha cercato di reimpiegare all'estero il surplus della bilancia commerciale accumulato dall'industria, senza crearle concorrenza. Gli impieghi dovevano essere speculativi, denaro che crea denaro senza passare per la produzione, come i titoli della finanza strutturata americana che avevano come sottostante i mutui immobiliari subprime o le vendite rateali delle automobili. Finchè la crisi d'Oltreoceano ha spezzato anche l'incantesimo europeo: dai Paesi dell'est all'Irlanda, dalla Spagna al Portogallo, dalla Grecia alla Slovenia, i crediti si sono incagliati.

Lo Stato tedesco, a partire dal 2009, è dovuto correre ai ripari, con aiuti alle sue banche per 646 miliardi di euro: 114,6 in ricapitalizzazioni, 455,8 in garanzie, 66,1 per l'acquisto di asset illiquidi, e 9,5 per provviste di liquidità. Aiuti pari, nel totale, al 25% del PIL: l'equivalente di almeno quattro anni di avanzo delle partite correnti dell'intero sistema produttivo della Germania. E' stato messo a rischio il lavoro ed il sacrificio di tanti lavoratori ed imprenditori, che alla fine potrebbero essere chiamati a coprire come contribuenti queste perdite accollate allo Stato: serviranno altri anni di lavoro e di tasse per ripagare il cattivo impiego finanziario di quanto si era stato accumulato in precedenza. E' un fiaba dell'orrore, come quella di Hans e Gretel che temono di essere divorati dalla strega, da cui si libereranno solo facendola cadere nel forno.
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