La Borsa italiana riflette in pieno la debolezza della nostra economia: il FTSE MIB è passato dai 43.775 punti dell'aprile 2007 ai 18.000 punti di questi giorni, dopo aver registrato due picchi negativi ad inizio del 2009 e nel maggio del 2012.
La debolezza delle nostre banche deriva dalla lunghissima crisi economica che ha fatto crescere le sofferenze.
Nonostante gli sforzi della BCE, il settore bancario rimane il tallone d'Achille dell'economia europea. Le operazioni di Ltro, di T-Ltro, di acquisto di Cb, di Abse di titoli di Stato, non hanno cambiato la situazione.
In fondo, la strategia è stata di salvare le Banche e di far risalire in fretta i listini azionari, per la paura di un ritorno alle nazionalizzazioni ed alle politiche keynesiane che furono adottate molti anni dopo la crisi del '29. Tasse alte e bassi salari, licenziamenti e fallimenti, hanno solo peggiorato la situazione.
Anche allora, di tempo ne occorse tanto prima che le cose cambiassero. Si dovette aspettare la Presidenza americana di Roosevelt, nel 1933, per capire che non si potevano tollerare milioni di disoccupati. In Inghilterra, solo nel 1935 Lord Beveridge teorizzò il moderno welfare con la protezione dei cittadini da parte dello Stato "dalla culla alla tomba". In Italia, i salvataggi bancari furono messi a regime con l'IMI solo nel '31, mentre nel '33 fu costituito l'IRI, l'Istituto per la Ricostruzione Industriale.
Ad ottanta anni dalla crisi del '29, quando ancora in tanti Stati moltissime tra imprese e banche sono rimaste sin da allora in mano pubblica, l'élite economica e finanziaria ha fatto di tutto per evitare il ripetersi di quella che per loro fu una tragedia storica: persero tutto, perché le loro banche e le loro imprese erano fallite. Gli Stati le rimisero in piedi, un po' alla volta, non senza aver stabilito che il mestiere delle banche non doveva più essere quello di prestare denari a chi speculava in Borsa, ma di fornire credito all'economia. Queste norme, come è noto, sono state smantellate un po' alla volta, anche in Italia, verso la fine degli anni Novanta: fu così che le banche del nord-Europa si erano inzeppate i bilanci di titoli americani, poi dimostratisi illiquidi e privi di valore.
Le Banche europee, che stavano fallendo, sono state salvate con denari della collettività: alcune dai loro stessi Stati, altre dalla solidarietà internazionale.
Ora, sui mercati ci si rende conto che la situazione dell'economia reale non è affatto rosea, che i governi stanno perdendo la fiducia degli elettori e che i listini azionari hanno corso un po' troppo.
Le Banche centrali hanno esaurito le munizioni, tradizionali e non convenzionali. Gli investitori cominciano a ritirarsi. C'è fila alla Cassa.
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